Liberté, egalité, architetté

La fila al bagno del cinema è solo al bagno delle donne. Ci avete mai fatto caso? Ci sono altrettanti cubicoli che in quello degli uomini. È che le donne sono leeeente a fare la pipì. Che ci può fare l’architetto che ha progettato i bagni del cinema?

andare al bagno

Mica può cambiare l’anatomia delle donne, il fatto che portano i collant, che vogliono usare la carta igienica, che hanno a che fare con il ciclo e devono tenere in braccio la figlia mentre fa anche lei la pipì – tutto senza sfiorare un piastrella e men che meno il WC.

Secondo l’architetto americano John Cary la diseguaglianza e umiliazione che il design impone alla maggioranza delle persone si deve al fatto che è storicamente progettato quasi esclusivamente da uomini bianchi; che sono una minoranza delle persone.
Racconta di averlo notato per la prima volta quando è nata sua figlia in questo discorso a un TED:

Fuori il sole splende, ma nella stanza in cui sua moglie sta partorendo non ci sono finestre. Solo pareti beige, e una ronzante luce al neon.
L’ostetrica dichiara sconsolata: “Vorrei che l’avesse disegnata un architetto…”
Lui risponde, ancora più sconsolato: “MA L’HA DISEGNATA UN ARCHITETTO!”

Dopo aver ascoltato il suo discorso anche io mi chiedo: quanta bellezza e funzionalità stiamo perdendo nei nostri uffici, nei nostri parchi, nelle nostre stazioni, nelle scuole, negli ospedali, nelle nostre stesse case perché questi spazi vengono immaginati solo da maschi di una certa demografia?

Cosa non sappiamo dei bisogni di un sikh di 80 anni, di una bambina che può camminare solo appoggiata ad un alano (vista con i miei occhi una scuola elementare americana), di una donna che porta il burka o il sari e tra il primo e il secondo tempo vorrebbe fare la pipì senza perdere un pezzo di film?

Se non li conosciamo, questi bisogni, non potremo soddisfarli

Se non possiamo soddisfarli, continueremo a relegare in un posto minore chi non ha progettato questi spazi.
Ovvero: continueremo ad avere una società iniqua, che esalta una sua parte e umilia l’altra anche per questi motivi così banali.
Occhio non vede, cuore non duole: è un sillogismo così primitivo da essere unicellulare. Quello che non viene visto non viene riconosciuto, e quindi non ha voce.

architettura

Ora, le osservazioni di John Cary sono molto americo-centriche: negli Stati Uniti la società è molto più diversificata rispetto all’Italia, tanto che si prevede che nel 2044 la popolazione bianca scenderà sotto la soglia del 50%. Lo scarto nel mondo del design lì è enorme, se si considera che le donne coprono meno del 15% del “parco architetti”. Le persone non-bianche sono ancora meno.

In Italia, invece, nel 2016 erano iscritti al Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori 64.500 donne e 90.500 uomini.
Significa che noi italiani possiamo cominciare a fare meglio degli americani da oggi stesso.

Se fossi una ristoratrice, non vorrei che la mia cucina fosse progettata da chi vive di take-away.

Se fossi un uomo, non vorrei che il mio urinale fosse disegnato da chi non ne ha mai usato uno.

Se fossi una persona in sedia a rotelle che prende la metropolitana tutti i giorni, non vorrei che la mia stazione fosse concepita da qualcuno che va al lavoro in bicicletta.

Essendo una donna, vorrei trovare nei bagni del cinema che frequento anche meno cubicoli, ma più grandi; con una mensola e dei ganci per borse e giacche, un lavandino per potermi lavare le mani e un cestino che si apre con un pedale.

Diceva Giulio Cesare: divide et impera, separa e controlla.

Abbiamo tutti bisogno di affidarci ai talenti e alle competenze di chi sa fare meglio in un ambito specifico: è così che si formano le squadre, dove tutti danno un contributo parimenti importante per il benessere della comunità – nelle serie tv, nei film, nella pubblicità, negli aeroporti, negli stadi, negli autogrill.

È così che possiamo controllare che ogni volto sia visto e ogni voce sia sentita.

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