Anni fa ho intervistato Allegra Antinori per una rivista di moda, e mi è sempre rimasto impresso il ricordo di una ragazza molto simpatica e genuina come la terra di Toscana, una marchesa in stivali di gomma che al posto della puzza sotto il naso ha solo il profumo di mosto.
Quando le chiesi dove amava fare shopping esitò un attimo, scoppiò a ridere e mi disse in tono cospiratorio che il suo negozio preferito era il ferramenta: meglio andare a comprare dei chiodi per la staccionata in Maremma che un paio di scarpe da Ferragamo in centro a Firenze. Poi mi descrisse così bene due rossi prodotti da una delle tante aziende Antinori, che da allora sono un’affezionata consumatrice di Peppoli e Bruciato, e mi sono ripromessa cento volte di accettare il suo invito ad andare a trovarla in cantina.
Così, quando durante una cena al ristorante Il Cibreo di Firenze chiedo alla sommelier di consigliarci un posto sulla via di Siena dove andare a comprare del buon vino e lei ci dice che a metà strada c’è proprio la Cantina Antinori versione archistar, mi sfrego le mani vedendomi già a spasso tra le vigne e le botti, con crostini in una mano e un calice di Chianti nell’altra, e soprattutto con il portabagagli pieno di bottiglie da riportare a casa. Super Tuscan mode: on!!
Tra le dolci colline di San Casciano si intravede un tetto color cotto, appena ondulato. C’è un posteggio sotto la strada: per auto e pullman. Questo mi inquieta subito: il turismo da corriera non promette l’esperienza intima che conto di fare.
Ci accorgiamo che con la macchina si può salire fino alla cantina: meglio, visto che abbiamo intenzione di fare una vera scorta, e il vino è pesante.
Il custode all’ingresso ci spiega come entrare nel posteggio e ci ritroviamo inghiottiti da un gigantesco e gelido ambiente che posso solo descrivere come “De Chirico incontra Leroy Merlin”.
L’edificio progettato dallo Studio Archea “seguendo le indicazioni del Marchese Piero Antinori e delle sue figlie Albiera, Allegra e Alessia” (cit.) è molto più grande di quanto non sembri da “giù”.
È bello, eh, non vorrei essere fraintesa: un’opera architettonica che lascia indubbiamente il segno.
Ma… mi fa pensare all’aeroporto dei Teletubbies in versione metafisica. Sembra di camminare in un rendering.
È tutto molto algido, e così spazioso da debordare nel vuoto.
Allegra che vai in ferramenta con gli stivali di gomma, perché??
Anche lo shop ha un’aura di tempio anziché di parco dei divertimenti:
E siccome il vino per me è convivialità e quello che la sera, per dirla alla Jeeves, “takes the edge off the day” (toglie gli spigoli alla giornata); e siccome qui costa pure uguale uguale alla mia enoteca sotto casa nonostante l’assenza di intermediari… decidiamo di lasciar perdere, tornare nel parcheggio dechirichianoleroymerliano e andare a fare i nostri acquisti all’Enoteca Italiana di Siena, che la stessa sommelier del Cibreo ci ha descritto con queste parole: “un’istituzione, letteralmente dentro le mura della Fortezza Medicea, con esperti che vi sapranno consigliare… loro sono molto carini, vi faranno assaggiare tutto!”.
A Siena facciamo con calma la spesa nei vicoli intorno a Piazza del Campo, quella giusta per essere goduta dei buoni rossi locali: pici, panforte, ricciarelli, cavallucci. E poi ci dirigiamo verso l’Enoteca Italiana seguendo il navigatore.
E giriamo, giriamo, giriamo intorno alle mura, dove non c’è parcheggio, non ci sono lampioni accesi, non ci sono indigeni a cui chiedere lumi. Niente, 20 minuti alla disperata ricerca dell’istituzione senza risultati. Ci deve essere uno Stargate riservato a pochi eletti che porta all’Enoteca. Noi reietti veniamo via senza nemmeno un brick di Tavernello misura succo di frutta.
Una volta a Genova, trovo un regalo che mi ha mandato Giunti: il nuovo libro “I grandi vini di Toscana – rossi d’eccellenza”.
È uno di quei coffee table book che puoi solo leggere con un bicchiere di Morellino (e Coltrane in sottofondo): un bellissimo, affascinante viaggio-manuale per conoscere i vitigni e le cantine di Toscana attraverso assaggi verticali.
Più lo sfoglio, più penso: “so cosa farò nei miei weekend per i prossimi dieci anni; PECCATO CHE NON POSSO COMINCIARE DA QUESTO”.
Poi, si sa, le carogne non salgono mai da sole, così mi metto pure su Google e scopro che l’istituzione dell’Enoteca Italiana è davvero un’Istituzione: “l’unica pubblica con la finalità di promuovere i vini italiani nel mondo, si trova in una location spettacolare che vale la pena visitare: l’interno di un bastione della Fortezza Medicea, con “grotte” di cotto che creano un’atmosfera incredibile. All’Enoteca Italiana troviamo anche un Wine Bar ed un Wine Shop, aperto fino a mezzanotte, con salette e terrazze per la degustazione di vini toscani e senesi, insuperabili per accompagnare le specialità della gastronomia senese” (fonte).
Significa che il posto che non mi è piaciuto era facile da raggiungere, ma non ci ho comprato niente.
E che il posto che mi sarebbe piaciuto non l’ho trovato, e quindi non ci ho comprato niente.
E ora? Pici, panforte, ricciarelli, cavallucci da tirar giù con acqua di rubinetto. Sognando rossi d’eccellenza.
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