4 cose che ho imparato a non dire più ai bambini (e ai grandi)

Quattro frasi che fanno male, e che ho imparato a sostituire con frasi che fanno bene. A tutte le età.

4 cose che ho imparato a non dire più ai bambini (e ai grandi)

Opinioni date come comandi, complimenti così generici da suonare vuoti, etichette che imprigionano, vessazioni che potrebbero essere incoraggiamenti: spesso diciamo cose molto negative, che minano l’indipendenza, l’autostima e la creatività dei nostri figli  – ma anche degli adulti che circondano.

Potremmo invece educarci ad avere (e a dimostrare) molto più rispetto ai nostri cari.

Ho imparato tantissimo da un libro, “Come parlare perché i bambini ti ascoltino & come ascoltare perché ti parlino” di Adele Faber e Elaine March, che attraverso dei semplici fumetti mi ha fatto capire quanto male e quanto bene possiamo farci a vicenda semplicemente usando alcune parole piuttosto che altre, pur volendo esprimere lo stesso pensiero.

Ho regalato questo libro ad almeno una dozzina di persone (una vera catechesi!) confidando che sarebbe stato utile a loro quanto lo è stato per me per gestire gelosie tra fratelli, svogliatezza a scuola, incidenti tra amici, aggressività, tristezze: esperienze ed emozioni che proviamo ad ogni età della vita, e che hanno diritto di essere riconosciute come valide e autentiche anche nei bambini più piccoli.

Mentre ve lo consiglio con tutto il cuore, condivido con voi alcune frasi che ho imparato ad usare. Non sono necessariamente contenute nel libro in questione, ma lo spirito è quello 🙂

Invece di dire “è tardi” > molto meglio dire “è l’ora”

orologio

Come “attento che cadi” > molto meglio dire “attento a tenere l’equilibrio”. Quanta inutile negatività, quando si può essere proattivi invece che pessimisti.

“È tardi” lo dicevo sempre, tante volte al giorno (perché sono sempre a malapena in orario, e così la mia famiglia al seguito). Poi mi sono resa conto di quanto stress mi procurasse solo dirlo: perché è già una sconfitta, forse irrimediabile.

“È l’ora” significa solo che non c’è tempo da perdere. E soprattutto, che ce la stiamo facendo.

Invece di dire “sei bravissima, sono fiera di te” > molto meglio dire “hai lavorato tanto, devi essere fiera di te”

certificato

Come “sei sempre il solito” > molto meglio dire “questa cosa che hai fatto (non) mi piace”. Le definizioni – soprattutto quando sono accompagnate da un “sempre” o un “mai” possono diventare delle prigioni terribili. Anche quando sono dorate. Ve lo certifica un’evasa.

Una bella pagella, un tema che ha preso un voto alto, una medaglia sportiva, una promozione sul lavoro meritano l’identificazione dell’impegno che li ha portati: “sei bravissima/o” oltre a non iniziare una conversazione e a non essere un complimento davvero utile alla crescita, è un’etichetta che, nel bene come nel male, resta attaccata.

Nascono proprio così lo stress da primo della classe e l’umiliazione dell’ultimo, le persone che si autocostringono ad essere perfettine per tutta le vita o ad essere una delusione costante “perché tanto…”. Prigioni che possono essere evitate riconoscendo la contingenza: “hai studiato tanto per questa pagella”, “hai fatto una sciocchezza in questa occasione”.

Cambia il verbo: non essere, ma avere: al posto di un rumore bianco di fondo, c’è scelta e autoderminazione. C’è spazio per migliorare e per sbagliare senza che caschi il mondo.

Ci sono i presupposti per la libertà di essere se stessi, al meglio delle proprie possibilità.

In più, nel momento in cui diciamo a una bambina “devi essere fiera di te”, non solo le stiamo dicendo che noi già lo siamo, ma anche che il suo benessere può non dipendere dall’approvazione degli altri, ma dalla sua coscienza se saprà contare su se stessa per una sincera valutazione di merito. Un’altra grande libertà.

Invece di dire “è bello” > molto meglio dire “mi piace questo dettaglio”

bambini_disegno

Quando un bambino ci porta un disegno, quando un’amica ci porge una fetta di torta, per quanto possiamo essere entusiasti di quel vediamo o assaporiamo, ingaggiare il nostro spirito di osservazione sarà la forma di ringraziamento più gradita.

“Mi piace come hai colorato il letto, è così che lo vorresti?” o “questo pan di Spagna è davvero vaporoso, sembra di mangiare una nuvola, come lo hai fatto?” dimostrano un’attenzione autentica. Non teniamoci dentro i complimenti migliori (che possono essere delle domande!) per lasciare uscire quelli più banali e dimenticabili.

Invece di dire “quante storie, non è niente!” > molto meglio dire “lo so che può far male”

cerotto

Come “adesso ti faccio la puntura, non sentirai niente” > moooolto meglio dire con onestà “adesso ti faccio la puntura, ti farà un po’ male, ma io prima conterò fino a tre così potrai essere pronto”.

Una sbucciatura, la prima iniezione, una lite tra amici, una cotta non corrisposta: chi siamo per sminuire quello che sente un’altra persona? Le emozioni e le sollecitazioni fisiche che prova sono intense: di certo se fossimo al suo posto non ci farebbe stare meglio essere trattati con paternalismo.

Vedersi negati il valore e il potere della paura, del dolore e della propria rabbia è estremamente umiliante. Ci indica come deboli, come sciocchi, come degli esagerati. Ci fa chiudere in noi stessi – chi ha voglia di confidarsi con chi non ci riconosce di poter star male in quel momento?

Cosa pensate di queste frasi? Avete provato ad immedesimarvi nelle istanze opposte? Volete aggiungerne qualcuna?

(Puoi trovare subito “IL libro”, come viene definito in casa nostra, su Amazon.it)

mousse cioccolato cocco vegana bounty cakemania

Mousse al cioccolato vegana con cocco

Tre ingredienti, nelle stesse quantità, pochi minuti e tanta golosità: questa è una mousse che vi sorprenderà e vi farà fare un figurone con gli amici!