Indice
- 1° cosa bella – Marte e Saetta
- 2° cosa bella – Pied Mondrian
- 3° cosa bella – non è estate se non…
- 4° cosa bella – “De la fia, ma legala”!
- Una cosa che anche no – “sono solo episodi”
1° cosa bella – Marte e Saetta

Mi autocertifico ufficialmente una mezzana di cani.
L’estate scorsa ho fatto adottare Ettore, questa estate ho trovato casa a Marte e Saetta, due fratelli messinesi vissuti soli e alla catena tutta la loro vita e ancora increduli di aver trovato comodità e amore a Milano e Asti.
La soddisfazione e la gioia che dà sapere di aver avuto un ruolo nel felice allargamento di una famiglia non è comparabile ad alcuna altra emozione.
È preceduta da insistenze, suppliche, messaggi spammosi, social tappezzati di foto e video, gente che alza gli occhi al cielo quando ti vede arrivare e ti gira al largo. Sono diventata una pariah, in certi circoli.
Ma poi… quando chiedo a Silvia se vuole bene a Marte anche se le fa la pipì in casa tutti giorni, lei mi risponde lapidaria “è il mio fidanzato.”.

Antonella mi dice che non sa come abbia potuto vivere senza Saetta prima di averlo; ogni volta che la incontro, Giovanna mi ripete che con Ettore le ho fatto il regalo più bello del mondo.
E so che è valsa la pena alienarsi qualche simpatia.
Infatti… sto ancora cercando per gli altri tre fratelli di Marte e Saetta: sono tutti belli, sani, vivono da quando sono nati in mezzo a una colonia felina e si lasciano fare tutto dai gatti (perfino rubare la pappa!), hanno circa tre anni e bisogno di essere slegati da quella orribile catena e legati dall’amore a una famiglia.



Non vedo l’ora di mandarvi foto e video: scrivetemi a info@cakemania.it per ricevere tutte le informazioni e magari allargare la vostra famiglia!
2° cosa bella – Pied Mondrian

“Che bel tatuaggio!”
…
“Che BEL tatuaggio!!”
…
“CHE BEL TATUAGGIO!!! Ah… non è un tatuaggio… si è fatta male? Mi dispiace.”
Andare in giro con i cerotti lungo le gambe dà una scusa d’ingaggio agli attaccadiscorso: c’è il signore che mi ha seguito per un isolato standoce a provà, e c’è la Sciura Maria al banco dei formaggi che inorridisce e pensa che siano una nuova moda.
Non è una moda però, ma un supporto fisioterapico che si chiama “kinesio taping”: strisce di cotone adesivo, non medicate, applicate sulla pelle e in base alla posizione, alla direzione e alla tensione per inibire un muscolo sovraccaricato e contratto o stimolarne uno ipotonico. Sull’epidermide infatti sono presenti recettori nervosi, in grado di comunicare con i muscoli sottostanti in seguito a stimoli esterni. L’azione di questo cerotto allevia il dolore (inibendo i muscoli contratti che premono sui recettori del dolore) e contribuisce alla ripresa motoria (fonte: Humanitas).
Vero è che questi nastri colorati che si avviluppano intorno a gambe, braccia e torso fanno molto fashion: essendo io parecchio acciaccata, dopo una sessione dalla mia brava fisioterapista Lucilla (se siete in zona La Spezia e volete il suo contatto, scrivetemi), sembro Milla Jovovich nel Quinto Elemento.

Vabbé non proprio.

Però posso sembrare una persona che fa sport. O un’appassionata di body art?
3° cosa bella – non è estate se non…
Ordino un libro di Alan Bennett e lo leggo in barca.

Vado a caccia di more mentre porto fuori il cane.

Faccio un “patlıcan salatası” alla prima grigliata.

Vado a un concerto all’aperto.

Divoro un libro sui cani.

Faccio un giro in SUP e poi mi accascio perché mi fanno troppo male i piedi.

Impreco contro “la foresta tropicale”, come la chiama mio marito: la caciara incessante che fanno bambini e ragazzi dalle 10 del mattino fino alle due di notte senza pausa pasti nella piazza sotto casa nostra. Lui è più zen di me, riesce a dormire lo stesso sostenendo che “non te la puoi prendere con i pappagalli e le scimmie che fanno AH AH, CHT CHT CHT”.

Una volta il nostro rito di coppia per Ferragosto era fare la passata di pomodoro. Poi abbiamo scoperto la salsa di datterini e di ciliegini (occhio: non la passata di pomodoro) di Agromonte e abbiamo deciso che lo sbattone non vale la pena: è pure più buona della nostra!*

Meglio spendere quel tempo in barca a leggere, o provando a dormire, lontani dagli AH AH, CHT CHT CHT.
*Non mi pagano per dirlo, ma se vogliono pagarmi, possono pagarmi in natura.
4° cosa bella – “De la fia, ma legala”!

Me l’hanno detto così, in coro, rimproverandomi con fermezza, come possono fare solo le persone con cui sei davvero tanto in confidenza.
Monica e Anna Maria sono venute a trovarmi in campagna durante la settimana in cui c’era il nipotino di due anni e mezzo e il cane scorrazzava non solo nei nostri sei ettari (che NON sono pochi e potrebbe proprio farseli bastare, eh), ma riusciva a scappare attraverso fossati e punti deboli per andare nei giardini di altre persone, attraversare la provinciale e guadare il fiume, e arrivare in campi che io avrei solo potuto raggiungere in macchina.
La vedevo dal tracker che porta al collo e che tramite GPS mi mostra in tempo reale dove si trova e tutti gli zig zag che fa sulla mappa (si chiama Tractive, e non potrei vivere senza: letteralmente, sarei già morta d’infarto a vederla correre come fa lei per svalicare un monte in 42 secondi).
Ero in una situazione fenomenale di stress: il bambino nella sua fase più ostica del NO PERENNE, sempre in direzione ostinata e contraria, il cane irrecuperabile che capiva con la telepatia che volevo darle da mangiare, da bere, una carezza, o magari chiuderla in casa per quetare un’ora… e non si lasciava avvicinare.
Io che patisco dover usare il guinzaglio, non ho mai nemmeno valutato di legarla: per me una catena è semplicemente un concetto schiavizzante e raccapricciante. In fatti non sopporto di sapere che Balù, Rufus e Sky vivano legati da quando sono nati.
Ma Monica e Anna Maria, vista l’energia del bambino, vista l’arte escapista della Shu e vista la mia faccia stravolta, hanno reagito istintivamente e viaregginamente: “De la fia, ma legala!”
(De la fia è un rafforzativo buono per tutte le occasioni, e sta per “accidenti”; senza averne l’eleganza).
Non puoi fare tutto.
Ti devi aiutare in qualche modo.
Che patimento è??
Non puoi ammattire così.
Le hai salvato la vita, e poi non la metti in sicurezza??
Gliela prendi lunga e la metti dove ti vede.
Hanno tanto insistito che mi hanno convinta a tentare.
Abbiamo comprato una catena di 12 metri, con due moschettoni.
Ci abbiamo messo tre giorni ad auto-convincerci ad usarla, ma dopo l’ennesima fuga al buio a caccia di daini e cinghiali, l’abbiamo fatto: a sole tramontato, abbiamo cenato con la Shu legata vicino a noi, totalmente tranquilla per quell’oretta, e con una discreta libertà di movimento.

È stato molto più semplice e confortante di quanto mi aspettassi. Ho mangiato mandando giù ogni boccone senza controllare nel panico dove fosse il cane.
Ha funzionato, insomma.
Morale: bisogna aiutarsi, davvero. Non si può controllare tutto, e si può invece distribuire il patimento tra le parti coinvolte, invece di accollarlo su una soltanto.
Una cosa che anche no – “sono solo episodi”

La mia educazione sul razzismo continua e ho capito che non finirà mai. Come diceva Socrate, so di non sapere (e che non saprò mai).
Ogni esempio concreto che leggo è un tassello in più in questo infinito puzzle che ritrae la pochezza, la cattiveria, la meschinità che caratterizzano le persone ignoranti.
Proprio per questo bisogna imparare, e fare proprio ogni episodio: empatizzare per combattere la propria ignoranza.
Ma episodio è la parola giusta? Chi ha vissuto immerso nel privilegio bianco si sorprende talmente tanto quando assiste a un episodio che tende a pensarlo appunto come un episodio isolato, anziché come parte di un sistema.
Come è successo a me quando, due anni fa, uscendo di casa ho trovato il mio (ora ex) veterinario che strillava contro uno degli operai che stavano montando le impalcature sulla mia facciata.
Ho chiesto cosa stesse succedendo, pensando che fosse stato sfiorato da un tubo Innocenti dato il suo stato di alterazione.
Ma prima di ricevere una risposta, “Lo vedi il mare??” gli ha urlato indicando la spiaggia dall’altra parte della strada. “Ecco, puoi prendere e tornare a nuoto a casa tua!!”.
L’operaio sudamericano si è voltato e andandosene ha borbottato una singola parola tra sé.
Il veterinario allora si è gonfiato e ha strillato: “Cosa hai detto?? Parla italiano! E non dare per scontato che non capisca la tua lingua!!”.
Ero scioccata.
“Dottore, ma che è successo qui?”
“Gli ho chiesto chi è l’amministratore del suo condominio, signora, perché devo fare anche io dei lavori”, ha risposto con calma. A me. E poi, di nuovo furioso, rivolto verso il capannello di operai: “E lui dice che non lo sa!!”.
“Certo che non lo sa, il signore lavora per la ditta che ha subappaltato l’installazione dei ponteggi dall’impresa edile.”
“È quello che dice lui!!”
Mi sono scusata immediatamente con l’operaio, dichiarando il mio stupore e la mia costernazione.
E lui mi ha semplicemente risposto: “Non si preoccupi signora, ci succede tutti i giorni”. Come se mi stesse dicendo “per la farmacia vada avanti ancora un isolato, poi svolti a destra”.
La cosa più terribile di questo episodio quindi è che non è un episodio. È una situazione che decine di migliaia di persone nel nostro paese vivono ogni giorno.
Non è per sfortuna che incontrano una persona cattiva, meschina e ignorante: il problema è endemico e profondo.
Quell’operaio, due anni fa, mi ha detto di stare tranquilla: ovvero, era così disilluso che gli bastava che io non fossi razzista, che mi comportassi in maniera civile con tutte le persone, senza fare differenze.
Invece non va bene. Non basta.
Non essere razzisti non è abbastanza: bisogna essere anti-razzisti.
Attivamente antirazzisti.
Nel bestseller “How to be an antiracist”, Ibram X. Kendi spiega che non esiste una via di mezzo tra “non razzista” e “antirazzista”:
“O una persona da razzista appoggia l’idea di una gerarchia razziale; o da anti-razzista l’uguaglianza raziale. O una persona da razzista crede che i problemi siano radicati in un gruppo di persone; o da anti-razzista individua le radici del problema nelle sedi del potere e nelle politiche. O una persona da razzista permette che le disuguaglianze razziali perseverino; o da anti-razzista le affronta. Non c’è uno spazio di mezzo che si chiama “non razzista”.”
Quindi, tutti in piedi. Abbiamo poltrito troppo a lungo. Siamo in ritardo di secoli e non bisogna più perdere nemmeno un minuto nella difesa dei diritti e della qualità di vita di tutte le persone che vivono su questa Terra.
Bisogna intervenire a livello episodico, e bisogna cambiare rotta a livello politico, culturale, economico.