Indice
- 1° cosa bella – chi è senza peccato getti la prima felpa
- 2° cosa bella – ha le tasche
- 3° cosa bella – Hazel Mead
- 4° cosa bella – 25 cravatte
- Una cosa che anche no – domandare è lecito, rispondere è cortesia
1° cosa bella – chi è senza peccato getti la prima felpa
“Poi bisogna che ti compriamo un impermeabile vero”.
L’ha detto così, a bruciapelo ma con tenerezza, mentre uscivamo dall’all you can eat, dopo il nostro pranzo settimanale da piccioncini.
Ho avuto un attimo di silenziosa incredulità e poi ho asfaltato mio marito con tutta la passione che provo per lui.
Lui, il mio impermeabile.
Stai scherzando? Non è un impermeabile “vero”?? È un Aquascutum! (Marito: ho capito, è inglese…)
Aquascutum! Scudo! Acqua! È perfetto, a parte il fatto che è… un po’ permeabile (Marito: appunto…).
E che ha le maniche un po’ corte (Marito: appunto…).
Ma è sempre stato così, ce l’ho da 32 anni (Marito: appunto…).
L’ho pagato 99 sterline in saldo, me lo sono regalato quando sono andata a Londra per il mio diciottesimo compleanno! E infatti anche Elisabeth disse: “A very sensible buy”! Ha le tasche perfette per far scivolare le mani dentro! In tutti questi anni gli ho riattaccato un solo bottone e lo metto per sei mesi all’anno tutti i giorni! È bellissimo! È senza tempo! Lo amo!! Ha anche la cintura ma non la metto perché si è staccato un passante, e allora ho tagliato via anche l’altro… è perché non metto la cintura che dici così??!!!???
Gli occhi mi si riempiono di lacrime: mio marito mi vuole portare via il mio impermeabile.
Gli occhi di mio marito sono sbarrati: sua moglie sta facendo una mattana per strada come una barbona a cui gli assistenti sociali stanno cercando di dare un sacco a pelo in cambio di un cartone.
Ci accordiamo subito sul cessate il fuoco: nessuno nominerà ancora il mio impermeabile invano, se non per lodarne la longevità; e nessuno nominerà quelle mie due felpe di cui mio marito si è impossessato una settimana dopo che ci siamo conosciuti e che usa da 27 anni per dormire anche se non hanno letteralmente più i gomiti, se non per lodarne la (ahem) longevità.
2° cosa bella – ha le tasche
Ho un impermeabile beige da 32 anni, un cappottino blu da 23, un piumino grigio da 16 che preferisco a tutte le giacche più nuove perché hanno un grandissimo pregio in comune: delle belle tasche.
Le belle tasche sono quelle con l’inclinatura e la profondità giusta, quelle in cui la mano ti entra scivolando con eleganza per riposare, ripararsi, riprendere le chiavi, il telefono, il fazzoletto, la pallina per il cane.
Le belle tasche sono quelle che ti permettono di uscire di casa senza una borsa, perché ci pensano loro.
Le tasche dovrebbero essere inserite per legge in ogni vestito, gonna, paio di pantaloni.
Non a caso esiste il meme “It has pockets”, e sono stati scritti articoli sul patriarcato che vuole piegare le donne anche attraverso la negazione delle tasche.
Non so se mi spingerei a tanto gombloddismo, ma di sicuro le tasche sono per me un deal breaker nella scelta di un acquisto, ed esiste una rete di mutuo soccorso femminile per cui quando una trova qualcosa di bello con le tasche lo divulga via Whatsapp ad amiche e parenti. Con evidenza fotografica:
3° cosa bella – Hazel Mead
Parlando di liberazione femminile.
Ho scoperto un’illustratrice i cui poster dovrebbero stare in ogni aula scolastica: Hazel Mead.
Non sono tanto i suoi disegni quanto i suoi pensieri, che vorrei vedere divulgati: il modo in cui include ogni sesso (e forma di sesso), età, etnia, corporatura nelle sue opere che parlano di gioia, gentilezza, comprensione profonda che ognuno di noi vale uno e che abbiamo tutti la stessa dignità.
L’unica discriminante è come ci comportiamo verso il prossimo.
Siamo troppo abituati – almeno, io lo sono – a vedere poco oltre quello che ci circonda immediatamente, e i suoi lavori ci fanno ricordare che siamo in tanti su questa terra, ognuno con una storia che deve essere raccontata. Basta aprire la conversazione.
4° cosa bella – 25 cravatte
Torna la rubrica “I mei vegetti” in cui vi faccio conoscere i vecchietti del mio quartiere, incontrati fortuitamente… anzi no, sempre grazie alla Shu.
La Shu è una calamita sociale, come tutti i cani di buona taglia che si prestano ad essere accarezzati senza piegare la schiena (WARNING: non accarezzate MMMMMAAAAAIIIII cani che non conoscete senza aver chiesto prima il permesso al padrone e soprattutto al cane, che deve capire cosa state per fare; se vi morde, ve la siete cercata).
In una ventosa domenica novembrina eravamo in spiaggia e lei, dopo mezzora di corse avanti e indietro a rincorrere bastoncini, ancora non paga, aveva preso la via delle scale per scappare in strada.
In cima alle scale c’era un vecchietto che l’ha chiamata per fermarla, facendola rallentare nella sua corsa da menade, dandomi così la possibilità di recuperarla:
Il Signor Carlo ha 92 anni, un basco a quadri, un bastone da Charlot e neanche un dente.
Nel ringraziarlo per l’aiuto è iniziata una conversazione magnifica…
– Lei è un uomo, con il cappello e con il bastone: è straordinario che il mio cane si lasci toccare invece di ringhiarle contro.
– Ma loro lo sentono. Lo sanno. Io ne ho avuti tanti, l’ultimo era un pastore grigio di 50 chili; li portavo sempre a Canazei e Selva…
– Selva! Anche noi ci andiamo sempre, abbiamo casa!
– E dove la porta?
– A Vallelunga.
– Dove c’è la caserma dei Carabinieri! Ci andava Pertini, lo sa?
– Sì, c’è una lapide.
– L’ho incontrato lì, una volta quando era Presidente… stavo scavalcando la staccionata e i cani dei Carabinieri mi sono corsi incontro, il capobranco mi ha riconosciuto e mi ha leccato la mano e sono tornati tutti indietro, mentre arrivavano quelli con i mitra di corsa… allora l’ho visto da lontano e gli ho urlato in genovese: “Ou, Shandru!” e lui mi guarda con quegli occhi che bucavano come spilli: “Ou, Cao!”…
– Ma come, vi conoscevate?!
– Sì, dalla Liberazione! Per lui ero Cao, un ragazzino di 16 anni… i camerati mi avevano prelevato per strada nel ’42, avevo 14 anni, mi misero a lavorare al Ministero degli Interni. Sa, i fascisti… non potevi ragionarci, sono stato obbligato. Poi è stato il mio lavoro per tutta la vita. Comunque Sandro poi mi chiede in genovese cosa ci fai qui, è tua moglie questa signora, i tuoi figli… Sa, tanti anni prima mi aveva mandato un regalo per le nozze: 25 cravatte!
– VENTICINQUE??
– Con un biglietto che diceva solo: “Ricordati del XXV!”. Intendeva il 25 aprile, la Liberazione.
E questo, bambini, è come ho conosciuto il mio nuovo vecchietto preferito.
Una cosa che anche no – domandare è lecito, rispondere è cortesia
Ho fatto riparare una persiana. Al momento di saldare:
– Quanto le devo?
– 220.
– Ecco a lei.
– Grazie.
Fa per andarsene. Me lo sentivo. Mi sale la carogna.
– Scusi, la ricevuta?
– Ah, perché, vuole la ricevuta?
– Beh, sì.
– Posso scriverle su un foglietto che mi ha pagato 220 euro.
– Ma non è una ricevuta.
– No.
Silenzio.
– Quindi?
– Mah, in genere non le faccio, non me la chiede nessuno.
– Non ha un blocchetto per le ricevute?
– No. Se vuole le firmo un foglietto.
– Scusi, ma lei come le paga le tasse?
Non risponde. E se ne va.
Una cosa che fanno anche gli altri – uscire in pigiama
Sono sempre molto aperta su Instagram: se volete “sperimentarmi” al mio peggio, seguitemi e guardate le mie Stories.
Vi capiterà di vedermi uscire in pigiama con il cane perché ha piovuto così tanto che ho finito i pantaloni asciutti e chiedere in diretta se sono l’unica a cedere a un comportamento così imbarazzante.
E scoprire insieme a me che il pigiama fuori dalle mura domestiche non è esclusivo appannaggio delle gattare che lasciano le scatolette per strada, ma di tutte le canare che portano fuori il cane in orari in cui possono non essere notate, delle madri che hanno un garage o un posto auto sotto casa e possono portare i figli a scuola o andarli a prendere di notte senza scendere dall’auto.
Di chi insomma ha una vita piena di impegni e povera di pantaloni. Con o senza tasche.