Cosa hanno in comune le suffragette, le principesse, gli zulu e il padre dell’informatica?

Nei giorni scorsi eravamo a Londra, per festeggiare il nostro 30esimo anniversario di matrimonio #IKR!

Sono stata una focosissima anglofila tutta la vita: ne ho assorbito come una spugna musica, letteratura, storia, giardinaggio, arredamento e architettura… perfino del cibo inglese mi sono innamorata!

C’è voluta una certa maturità perché aprissi gli occhi su cosa ha reso “great” questa mia tanto amata Britain: il colonialismo. La sicumera del colonialismo.

Ovvero, l’usurpazione di nazioni, territori, materie prime, manufatti, opere d’arte, mano d’opera, corpi umani, animali. Con la violenza e con il ricatto commerciale.

Avete mai visto il film “Zulu” del 1964, con Micheal Caine? Nato come un inno al coraggio e al patriottismo dei 100 soldati inglesi dell’impero vittoriano che resistettero all’attacco di 4000 zulu, oggi è impossibile non guardarlo con occhi che strillano… “Ma a che titolo siete andati lì, a casa loro, e li ammazzate perché non vi ci vogliono?”.

Mi è tornata in mente la famosa frase che Caine pronuncia nel film – “Zulus, thousands of them” – “Zulu, a migliaia” – proprio l’altro giorno, mentre ero alla Tate Modern.

Nella Turbine Hall, l’enorme spazio al piano terra del museo, c’è una semplicissima, agghiacciante installazione: un contatore che procede velocissimo e inarrestabile, e che segna un numero che non si può nemmeno leggere, fatto di quadriliardi (di nuovo, forse Zio Paperone potrebbe!).

Sono le sterline che il governo britannico deve come affitto agli aborigeni australiani per aver usato la loro terra (una fattura che non tiene nemmeno conto dello sterminio, della ghettizzazione, dei bambini tolti ai genitori e dati a famiglie bianche o orfanatrofi).

Un debito concretamente impossibile da saldare, ma non di meno dovuto.

Insomma, questa affinità elettiva che sentivo per “king and country” è ormai un disagio molto grosso che provo davanti a tutto quello che celebra il potere fondato sul colonialismo – italiano, belga, francese, olandese, portoghese, inglese: siamo tutti colpevoli.

Ma poi, passeggiando nel parco, mi sono fermata alla caffetteria di Kensington Palace, che è un tutt’uno con lo shop di souvenir legati alla Corona.

Era una tradizione, per me, comprare ad ogni viaggio oltre-manica una decorazione natalizia Made in Windsor.

Mi sono avvicinata al display pieno di carrozze, diademi, corone.

E fra tutta quella “pompa e circostanza” ho trovato la figurina di una suffragetta. Mi sono detta che era Emily Davison.

suffragette

Era accanto a quelle della Regina Vittoria e del Principe Alberto: una volta avrei comprato subito loro due, da appendere all’albero insieme a Enrico VIII e alle due mogli prese nel castello di Edimburgo (raga, costano un botto ‘ste figurine: otto mogli non se le può permettere nessuno!).

E invece ho comprato una suffragetta per Marta e una per Francesca, le mie nipoti di 12 e 3 anni.

Nessuna narrazione da principessa per loro: meritano di lavorare per il loro successo, e di sapere che è solo loro; meritano di non crescere romanticizzando la vita di chi si trova trova imprigionata in un’eredità ineluttabile, senza privacy, senza libertà. Non so voi, ma io credo che nascere in una famiglia reale sia una grandissima sfortuna…

È una cosa bella, questo cambiamento: la celebrazione delle donne che si sacrificarono per i diritti di tutte le loro sorelle, che dalla società figlia di Vittoria e Alberto erano state vilipese, incarcerate e torturate.

Al prossimo viaggio spero di trovare altre figure storiche notabili: se Carlo III è iscritto a questa newsletter, mi permetto di suggerirgli Alan Turing, uno dei padri dell’informatica e il geniale matematico che durante la Seconda Guerra Mondiale decifrò i messaggi tedeschi, contribuendo enormemente alla disfatta di Hitler.

Un vero eroe. Peccato per lui che fosse omossessuale: nel 1952 fu processato e, trovato colpevole, scelse la castrazione chimica come punizione. Umiliato pubblicamente e nel corpo, si suicidò due anni dopo, dando un morso a una mela intrisa di cianuro (che non a caso è il simbolo e il nome di Apple)

Elisabetta II gli concesse la grazia postuma nel 2013.

È una delle persone che hanno reso davvero Grande la Bretagna, quella a cui voglio continuare a voler bene.

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