Top 5 del mese: 4 cose belle e una anche no – dicembre 2015

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dicembre 2015Ogni mese vi racconto le cose mi hanno colpito: nel bene soprattutto, ma anche nel male.
Una paletta d’argento, una cheesecake medievale, decori natalizi vintage, sapone fatto in casa e un’opera d’arte struggente hanno segnato questo dicembre 2015.

1° cosa bella – una paletta per dolci (forse)

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Durante il ponte dell’Immacolata ci siamo regalati una vacanza a Londra con tutti e tre i figli. Ognuno aveva una piccola lista di cose che voleva fare, e la prima sulla mia era andare al mercatino antiquario di Bermondsey Square del venerdì mattina, un rito che ho sempre rispettato ogni volta che sono stata in città, anche perché va da sé che “non è cosa” uscirne senza aver comprato almeno un cucchiaino da marmellata o un coltellino da burro.
Trascinando il piccolo di sei anni che moriva dalla voglia di camminare per quattro chilometri per vedere dell’argenteria vittoriana, siamo arrivati dove la piazza era sempre stata e dove Google Maps diceva che ancora stava; ma, oh, la piazza battuta dal vento gelido e disseminata da decine di bancarelle non c’era proprio.
C’è voluto un bel po’ a capire cosa le è successo: è stata chiusa da nuovi edifici scuri, è diventata una frazione di quello che era e si è tramutata in un’accozzaglia di stand di bric-à-brac genere “svuoto la cantina della prozia, mi ha detto di buttare questa roba ma invece la porto a Bermondsey e provo a venderla”.
Vedi a mancare da Londra per otto anni?
Una brutta storia alla Via Gluck.
L’unico eroico venditore rimasto dalla vecchia guardia di antiquari appassionati era un anziano signore con un cappello nero dalla tesa larga, specializzato in posate. Questo è il suo banco.

bermondsey square market
silver cutlery bermondsey square market


Ho faticato a scegliere quale comprare, tra queste palette per dolci…

crumb plates

Sono andata in stallo e ho fatto scegliere ai maschi: di una (quella al centro nella fila più in alto) mi piaceva la paletta ma non il manico, di un’altra (la prima a destra della seconda fila dall’alto) apprezzavo l’eleganza anche se l’attacco del manico è danneggiato. Ha vinto la seconda.
Il signore mi ha spiegato che questi oggetti sono stati prodotti tra il 1890 e la Prima Guerra Mondiale, e mentre mio figlio osservava che a lui sembrava “una roba per raccogliere le briciole, non per servire una fetta di torta, guarda la forma!”, ho cacciato 20 sterline e me ne sono andata tutta contenta a postare su Instagram la mia nuova cake server edoardiana.
Ora, scrivendo questo post ho voluto fare un po’ di ricerca storica e ho scoperto che… un adolescente maschio e grunge ha più occhio di una signora borghese che colleziona argenteria.
Anzi, di due: perché la prima “paletta per dolci” di questa forma l’ho vista a casa della mia amica Simona, che l’aveva comprata a Bermondsey e che, consultata or ora, ha fatto mente locale e si è ricordata che la signora che gliel’ha venduta non le aveva mai detto a cosa servisse e che lei stessa non la usa per servire fette di torta perché, insomma, la punta arrotondata e rialzata non è certo un aiuto.
E il mio signore dal cappello nero? Quando con gli occhi sognanti ho chiesto quanto costavano le palette per dolci si è guardato bene dall’informarmi sul vero scopo di questi “crumber” o “crumb plate”, sicuramente per non perdere una vendita.
Sono stata presa in giro, però adesso ho una nuova missione: trovare la spazzolina giusta da accompagnare alla mia paletta per briciole.
Magari la cerco a Portobello Road.

2 ° cosa bella – sambocade

sambocade heston blumenthal

A Londra ho fatto tante cose belle. Ovviamente.
Ma anche una brutta: ho assaggiato le anguille del Tamigi in gelatina, il cibo che per secoli ha nutrito gli scaricatori di porto della capitale inglese; mi hanno fatto letteralmente schifo (un boccone di squame e spine), mi sono molto arrabbiata perché mi hanno schifo (perché voglio mangiare TUTTO), mi è venuta la nausea e poi una congestione, sono svenuta in metropolitana e mi sono risvegliata per terra sulla pensilina con la testa appoggiata sulle gambe di mio figlio.
Meno male che ero in giro con quello adolescente e grunge e non con quello piccolo!
Fatto sta che ho passato ore a letto con gli occhi rivoltati tipo estasi di Santa Teresa d’Avila e ho dovuto saltare una cena a cui tenevo moltissimo (al St. John, ristorante dove fanno molto quinto quarto, famoso per il suo toast con midollo di bue).
Ma non sarà un vomitevole piatto antico inglese a farmi stare lontana da un intero menu di piatti antichi inglesi!
Due giorni dopo infatti abbiamo mangiato da “Dinner by Heston Blumenthal”, settimo nella ambitissima e famigerata lista dei “50 Best Restaurants of the World”, voluto da Blumenthal per celebrare la storia della gastronomia inglese e dimostrare che queste due parole non sono in antitesi. Ed essendo stato eletto più volte negli ultimi anni il migliore chef del mondo da critici e colleghi, sa quel che dice e quel che fa. Dal canto mio, sono anglofila nel sangue e una chef-groupie, per cui questa cena l’aspettavo da tempo con una certa trepidazione.
Ed è stata all’altezza di ogni aspettativa: impeccabile nell’esecuzione, eccitante intellettualmente e sensorialmente, divertente.
L’ho conclusa con una “sambocade”, ovvero la prima cheesecake ad apparire su un ricettario inglese, che guarda caso è anche il primo ricettario inglese: “The Forme of Cury”, del 1390. Il testo originale è breve:

Sambocade original


Quello che ne ha fatto Blumenthal è uno spettacolare dessert a base di formaggio di capra, che al suo cuore nasconde una gelatina di sambuco (“blomes of elren”) e mele compresse, viene servito con una pera cotta nel perry (sidro di pere) e noci affumicate (noci affumicate! Mai più senza!).
Quella polvere nera intorno alla cheesecake è carbone: non sa di niente, è “just for show”, per imitare i formaggi di capra maturati nella cenere. I cuochi medievali amavano giocare col cibo per farlo sembrare qualcosa che non era, e Blumenthal non è da meno.
Verdetto: 10 e lode e abbraccio accademico e bacio in bocca al pastry chef del ristorante, Daniel Svenson (sperando che sia un bel ragazzo), perché questa è la cheesecake più buona che abbia mai mangiato e non so immaginare come un’altra possa superarla.

3° cosa bella – Natale con i nonni

decorazioni natalizie

I miei nonni paterni non ci sono più, e tra fratelli ci stiamo dividendo le loro cose. Svuotando la casa dove hanno vissuto per 50 anni abbiamo scoperto qualcosa di nuovo su di loro, ma soprattutto ritrovato oggetti che appartengono al nostro lessico famigliare da sempre: l’odore di sigarette e caramelle mou delle borsette della nonna, la borraccia di alluminio che il nonno portava sempre quando facevamo le passeggiate in montagna.
Tra questi oggetti ritrovati ci sono delle decorazioni natalizie di una bellezza commovente: palline di vetro impalpabile, praticamente una velina, dipinte a mano. Cose così belle che sono solo di un’Italia che non c’è più.
Quest’anno l’albero è un po’ più prezioso.

4° cosa bella – un regalo da un’amica, da fare a un’amica

homemade soap

Sono saponi fatti in casa, e giustamente sono a forma di dolcetti.
Perché la mia amica Francesca in arte si chiama Dolcimaterieprime, e perché io non ho fondato Cakemania perché ho la mania delle zuppe (in realtà… non è vero. Adoro le zuppe. Qualcuno vuole fare Soupmania.com con me?).
Francesca, che ha le proverbiali mani d’oro e si misura con qualsiasi materia prima – farina, stoffa, carta, lisciva… – li ha fatti seguendo una ricetta su un libro di Norma Coney che si chiama “L’arte di fare il sapone” (IdeaLibri), me li ha regalati tempo fa e io non li usati per un bel po’ perché mi spiaceva: erano semplicemente troppo carini!
Poi mi sono decisa (più che l’amor poté la fame di sapone: l’avevo finito) e ho scoperto che questi gioiellini sono una meraviglia di morbidezza e delicatezza anche su una pelle suscettibile come la mia.
La cenere del caminetto d’ora in poi non la darò più alle piante ma alla mia faccia!

Una cosa anche no – l’indifferenza nei confronti dei rifugiati

migrants

“Migranti” è un’opera di un artista siriano in fuga. I bambini, le teste basse. La paura cieca del piccolo che si nasconde nella schiena della mamma, protetto dalla sorella maggiore. Questi ciottoli di spiaggia hanno un’espressività squarciante. Li ha raccolti a Lesbo, attendendo soccorsi, o di essere smistato con la sua famiglia?

In Italia, in questi giorni, facciamo ‘o presepio per ricordare quante difficoltà una famiglia mediorientale, 2015 anni fa, ha affrontato mentre una madre dava alla luce un bambino in una stalla. Tutti pensiamo a quei locandieri che l’hanno respinta e maltrattata, e con rabbia diciamo tra noi: “Ma come si fa a mandare via una partoriente, per strada?”.
Allora è tempo, oggi, ieri, domani, di ricordare che ogni giorno da mesi, da anni, ci sono famiglie in fuga disperata (cioè veramente con poche speranze davanti); donne che partoriscono su gommoni, bambini che vengono gettati in mare se piangono, padri che vedono i figli annegare e, se la foto dei loro corpicini lambiti dalla risacca non diventa un simbolo per questa orribile, orribile tragedia, magari non hanno nemmeno modo di dargli una dignitosa sepoltura. Nel 2015 3700 persone sono annegate nel Mediterraneo cercando di attarversarlo con mezzi di fortuna.

Nella sua poesia Home, la keniota-anglo-somala Warsan Shire ha scritto:

You have to understand,
No one puts their children in a boat
Unless the water is safer than the land

“Dovete capire,
Nessuno mette i suoi figli su una barca
Se l’acqua non è più sicura della terra”

La pietà che avremmo mostrato a Gesù sull’asinello possiamo impiegarla oggi per ogni Aylan sul gommone.

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