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Il nostro paese ha una cultura decisamente cibo-centrica: per noi mangiare non è solamente un’attività funzionale al sostentamento, è principalmente convivialità e condivisione.
E, infatti, tutti i momenti di festa nei quali ci riuniamo ai nostri cari si celebrano attorno a una tavola imbandita.
Per questo non stupisce che anche il nostro modo di parlare sia molto influenzato dal cibo, tanto che esistono moltissimi proverbi e modi di dire che siamo abituati a sfoderare nel mezzo di qualsiasi conversazione (anche non culinaria), che lo vedono protagonista.
Ne ho scelti 10 per saperne di più: non sul significato – che conosciamo bene più o meno tutti – ma sulle loro origini, delle quali non parla mai nessuno. E ho scoperto cose che non immaginavo.
Scommettiamo che anche voi le ignoravate?
Perché si dice…?
È stato un tuffo interessante nel passato, alla scoperta di eventi e azioni dei nostri antenati…
E siccome, per restare in tema di proverbi, piatto ricco mi ci ficco*… vai con la spiega!
1. Casca a fagiolo

L’espressione cadere/andare a fagiolo è molto antica: risulta, infatti, attestata nell’italiano scritto a partire dal XV secolo.
Il linguista Niccolò Tommaseo, nel suo Dizionario della lingua italiana (1861-1879), è stato il primo a formulare un’ipotesi circa le origini del detto, ipotizzando che esso fosse nato “Forse dal dirsi comunemente che ai Fiorentini piacciono molto i fagiuoli“.
L’interpretazione che oggi pare più calzante, però, fu individuata da un altro studioso della lingua vissuto nel secondo ‘800, il Passarini, il quale per primo immaginò che “potrebbe anche essere stato preso dai fagiuoli, che pur si sono usati come le fave bianche e nere, per dare il voto negli squittini [scrutini], e nelle pubbliche adunanze“.
Da qui, dunque, l’interpretazione di “cascare a fagiolo” come di qualcosa che arriva proprio nel momento giusto, come una persona che prende il maggior numero di voti durante un’elezione.
2. Non è farina del tuo sacco!

È risaputo da qualunque studente italiano (ma non solo): mettere nero su bianco soltanto i propri pensieri e – in generale – il frutto del proprio lavoro è molto importante, per poter orgogliosamente affermare “è tutta farina del mio sacco!”.
Ma perché si dice così?
A quanto pare, “anticamente” (nessuna fonte ne attesta l’epoca precisa, forse perché si è cercato di evitare possibili riconoscimenti geografici e/o personali), alcuni mugnai di non proprio specchiatissima morale tendevano ad aggiungere ai propri sacchi di farina di alta qualità modeste quantità di altre farine di seconda scelta, acquistate a prezzi bassissimi.
Poi, le mescolavano e mettevano in vendita nei sacchi come fosse un unico prodotto, vendendolo a prezzi alti.
Gli acquirenti più accorti, tuttavia, se ne accorgevano e smascheravano la truffa proprio al grido “non è tutta farina del tuo sacco!“.
3. Dare o ricevere carne

Questo proverbio, molto diffuso nel padovano nella forma “dare/ciapare carne“, viene generalmente usato per indicare un rimprovero per aver commesso un errore o non avere fatto qualcosa che dovevamo fare.
Anche in questo caso l’origine è piuttosto risalente nel tempo e abbastanza curiosa.
Tempo fa, ai mezzadri che lavoravano nei campi di un latifondista veniva assegnato un preciso obiettivo di produzione, in previsione della riscossione annuale da parte del proprietario.
Se una famiglia non riusciva a far fruttare la terra quanto previsto, il venerdì santo riceveva dal padrone un grosso pezzo di carne in regalo: non era un premio, bensì un preavviso di sfratto!
“Prendere carne“, infatti, significava letteralmente che la mezzadria si intendeva revocata e la famiglia, entro il giorno di San Martino (11 novembre), sarebbe dovuta andare via.
4. Salvare capra e cavoli

Salvare capra e cavoli significa prendere una decisione che riesce a conciliare o salvaguardare due interessi diversi.
Stavolta mugnai e mezzadri non c’entrano: il proverbio deriva da un famosissimo gioco di logica.
Un contadino deve trasportare sulla sua barca, da una sponda all’altra di un fiume, un lupo, una capra e dei cavoli.
La barca è molto piccola e il contadino può trasportare solo una cosa per volta, senza lasciare il lupo da solo con la capra (perché la mangerebbe) e la capra da sola con i cavoli (per la stessa ragione).
Come può fare? Se non riuscite a risolvere il quesito, qui trovate la soluzione.
5. Il boccone del prete

L’espressione boccone del prete viene usata per indicare la parte più buona di un piatto.
L’origine in questo caso è addirittura medievale: era usanza contadina regalare ai feudatari e alle figure ecclesiali, che tanto potere avevano sulle sorti della povera gente, parte del bestiame allevato durante l’anno, specialmente in prossimità di una festività.
Si trattava di una forma di captatio benevolentiae che andava ad arricchire chi era già fastidiosamente ricco, ma imprescindibile a quell’epoca per assicurarsi qualche santo in Paradiso (o più opportunamente, su questa terra…).
6. Farsi infinocchiare

Oggi diciamo “ti sei fatto infinocchiare!” quando qualcuno è stato imbrogliato.
Ecco un altro modo di dire nato dalla tendenza dell’italico popolo a farsi furbacchione all’occorrenza: qui però, abbiamo protagonisti i viticoltori.
Sembra, infatti, che questa espressione abbia avuto origine dagli antichi viticoltori romani, i quali – prima di far assaggiare il vino ai clienti – offrivano loro alcuni semi di finocchio da masticare.
Questi semi lasciavano in bocca un gusto molto aromatico, che rendeva saporito qualunque vino bevuto successivamente, anche se di scarsa qualità.
O ancora, può risalire anche all’uso di una speziatura eccessiva negli insaccati per coprire sapore e odore di carni scadenti e non più fresche.
7. Fare la figura del cioccolataio

Poveri cioccolatai… E che avranno mai fatto per diventare sinonimi di “fare una cattiva impressione”?
Loro, in realtà, non hanno fatto niente.
L’episodio da cui deriva questo modo di dire risale agli inizi del 1800, quando un mastro cioccolatiere di Torino, divenuto molto ricco grazie alle sue creazioni, decise di regalarsi una carrozza magnifica per i suoi spostamenti, bella e lussuosa come quella del duca-re Carlo Felice.
Quest’ultimo, notando la regalità del mezzo, redarguì il poveretto dicendogli che non poteva usare una simile carrozza, altrimenti lui – il Duca Re – avrebbe fatto la figura del cioccolataio.
Spocchia ne avevamo?
8. Mica pizza e fichi

L’espressione “mica pizza e fichi!” si utilizza per indicare che qualcosa ha un valore molto importante, al contrario – appunto – di pizza e fichi.
Perché si dice così?
La spiegazione è molto semplice.
In passato, come anche oggi, la pizza veniva considerata un alimento povero, perché realizzata con ingredienti alla portata di ogni contadino. Lo stesso valeva per i fichi, che erano addirittura soprannominati “il pane dei poveri” per la loro estrema abbondanza.
L’unione dei due ingredienti dava, quindi, luogo ad un alimento molto diffuso tra la povera gente.
Dunque, l’espressione nacque dalla considerazione che le cose realmente importanti non sono alla portata di chiunque, come accade da sempre per pizza e fichi.
9. Rendere pan per focaccia

Render pan per focaccia: ovvero vendicare un torto subito con un’azione equivalente.
Pare che questo modi di dire sia nato, in realtà, con un’accezione opposta e per una prassi di buon vicinato, e solo in seguito abbia acquisito il significato negativo col quale lo si utilizza oggi.
Anticamente, quando le massaie avevano finito la farina per fare il pane, ricorrevano alle vicine di casa proprio come facciamo oggi, quando abbiamo finito lo zucchero o abbiamo bisogno di un uovo o di lievito.
Già a quei tempi ci si prestava volentieri una o più “focacce”, cioè gli impasti da infornare.
Il prestito veniva successivamente restituito, dopo aver rimpinguato le scorte, sotto forma di pane appena sfornato, restituendo appunto pane al posto della “focaccia”.
Pensandoci bene, è un’usanza che sopravvive ancora oggi in alcune zone d’Italia, nelle quali ti trovi a prestare un cubetto di lievito o un pacco di farina e ricevi indietro una crostata o una pagnotta bella croccante!
10. Tutto fa brodo

Torniamo, ancora una volta, nel Medioevo: quando il brodo era un piatto preparato con acqua e qualsiasi altra cosa, purché fosse commestibile.
Veniva cotto per ore, tenuto sempre in sospensione sul fuoco in un enorme pentolone, tanto che alla fine era impossibile capire con quali ingredienti fosse stato cucinato.
Per questo si dice che tutto fa brodo: perché va bene tutto, purché si possa mangiare.
E questo mi riporta dritta dritta al mio post Come si fa il sacchetto del brodo.
*Contrariamente a quanto si può pensare di primo acchito, piatto ricco mi ci ficco non si riferisce al cibo, bensì alla posta in gioco del poker: è un modo di dire nato intorno a questo gioco!