Indice
- Ogni mese vi racconto le cose mi hanno colpito: nel bene soprattutto, ma anche nel male.Una canzone del 1955, bei regali in belle scatole, dei pasticcini turchi, un buon coltello e l’overpackaging hanno segnato questo febbraio 2016.
- 1° cosa bella – My favorite things
- 2° cosa bella – Bei regali in belle scatole
- 3° cosa bella – Kuru baklava
- 4° cosa bella – Un buon coltello
- Una cosa anche no – l’overpackaging
Ogni mese vi racconto le cose mi hanno colpito: nel bene soprattutto, ma anche nel male.
Una canzone del 1955, bei regali in belle scatole, dei pasticcini turchi, un buon coltello e l’overpackaging hanno segnato questo febbraio 2016.
1° cosa bella – My favorite things
Uno dei miei standard preferiti è My favorite things di John Coltrane: mi piace ascoltarla mentre cucino di sera, meglio se c’è un bicchiere di vino rosso a portata di mano, perché tra jazz e ballon mi posso sentire molto adulta e raffinata (non come quando preparo il pranzo e vado di sottaceti, Adele e Justin Bieber: sono sola in casa e posso cantare – forte – senza offendere la sensibilità di nessuno).
Solo in questi giorni mi sono resa conto che “My favorite things” non è stata scritta da Coltrane, ma da due dei più grandi autori di musical della storia: Rodgers (musica) e Hammerstein (parole), per “The sound of music”, ovvero quel “Tutti insieme appassionatamente” che dal 1965 non smette di affascinare gazzilioni di persone in tutto il mondo.
Perché arrivo così in ritardo? Mia madre e mia sorella cantano e citano il film con Julie Andrews come se fosse un testo sacro ma io, che pure in gioventù amavo moltissimo i musical (adesso sono più cinica; colpa di mio marito), l’ho sempre scansato.
Arrivo così in ritardo perché ho un problema con le narici di Julie Andrews.
Dai, non posso essere la sola.
Non sono mai riuscita a guardare per intero “Mary Poppins”, “Victor/Victoria” e “Tutti insieme appassionatamente” (fino a tre settimane fa) perché ha sempre quell’ombra nera sotto il naso che la fa sembrare un cartone animato, come se Walt Disney le avesse personalmente censurato le narici troppo grandi con un effetto speciale.
E quella macchia nera mi fa ritrarre e arricciare su me se stessa già di suo. E ancora di più al pensiero che Blake Edwards, regista e marito della tata più famosa del cinema, dichiarò, quando erano già entrambi parecchio agé: “Non avete idea di quanto sia sexy Mary Poppins in camera da letto”.
…
Comunque!
Delle narici nere mi sono dovuta fare una ragione (via, mezza ragione) perché proprio mentre un mese fa stavo sul divano a scrivere la top 5 di gennaio, in televisione avevo lasciato in sottofondo “Tutti insieme appassionatamente”, e lì mi sono accorta che una certa suorina austriaca di nome Maria cantava:
Raindrops on roses and whiskers on kittens
Bright copper kettles and warm woolen mittens
Brown paper packages tied up with strings
These are a few of my favorite things!
(In italiano, cantata da Tina Centi:
Gocce di pioggia sul verde dei prati
sciarpe di lana, guantoni felpati
più che il sapore, il colore del the
ecco le cose che piacciono a me!)
La musica era familiare e mi sono messa a cantare anche io.
E poi ho capito che capra ignorante sono stata a dare per scontato che il primo che sento suonare un certo pezzo ne sia anche l’autore.
Come “Make you feel my love” di Adele. Che, a dispetto del testo da ventenne che scrive su un diario con lucchetto a forma di cuoricino, è una cover di Bob Dylan.
Non si finisce mai di imparare.
Sta’ a vedere che “What do you mean” non è di Justin Bieber per Selena Gomez, ma di John Lennon per Yoko Ono…
2° cosa bella – Bei regali in belle scatole
Sono d’accordo con Maria Von Trapp: brown paper packages tied up with strings… these are a few of my favorite things.
La carta da pacchi marrone e lo spago che profuma di paglia sono tra le mie cose preferite: un modo bellissimo di incartare e presentare un regalo, un modo che sa di cura antica.
Così come è bella una scatola di cartone spesso di colore naturale, quel color biscotto Plasmon che mette subito il sorriso sulla faccia.
In scatole così ci sono quasi sempre cose belle – dico “quasi” perché se ripenso a certi bicchieri da Enrico VIII che ci sono arrivati fuori lista di nozze….
Lo provano due regali che ho ricevuto per il mio compleanno: un’alzata di ceramica di Nigella Lawson, e la “Scatola Numero Uno” di Fatto Bene.
Sono una fan di Nigella e del suo modo di cucinare, ho diversi suoi libri e mi piace moltissimo come scrive – meno come flirta anche con un mestolo di legno, però chapeau, ci ha fatto i miliardi.
Ma a prescindere dalla griffe, questa alzata per piccole torte è semplice e perfetta per valorizzare un dolce.
E mi serviva proprio: è la quindicesima che mi entra in collezione, quindi so di cosa parlo. Ci sono donne che spenderebbero tutto in scarpe, io potrei rovinarmi in alzatine e attrezzatura vintage da cucina.
Quindi l’altro regalo è altrettanto gradito.
Tacciatemi pure di nepotismo, visto che Fatto Bene è stato partorito, come mia nipote Marta, da mia cognata e da mio fratello: ma non è per questo che ve ne parlo.
La scatola contiene alcuni oggetti italiani che esistono da generazioni, un’antologia del nostro genio industriale più evocativo: un barattolino di Coccocoina (di quelli di alluminio, ormai una rarità) da sniffare per tornare ad avere 4 anni; un canovaccio fatto a mano in Calabria con un telaio dell’800; una saponetta “di lusso” che arriva dritta dritta dal ventennio; un carnet di carta d’Eritrea, foglietti aromatizzati inventati nel 1927 da mettere nei cassetti per profumare la biancheria o da bruciare in cucina per togliere l’odore del fritto; un taccuino rivestito con un motivo grafico del 1657.
Non c’è lo spago intorno alla scatola, ma dentro ci sono delle elegantissime cartoline impresse in tipografia che raccontano la storia (spesso avventurosa) di ognuno di questi prodotti.
Ah, letterpress, un’altra delle mie cose preferite…
3° cosa bella – Kuru baklava
Ho una nuova amica, a cui voglio già molto bene: si chiama Betul ed è turca.
È arrivata a Genova lo scorso settembre con il marito e le due figlie, e nessuno di loro parla ancora italiano.
I nostri bambini vanno a scuola insieme e quando ci vediamo di pomeriggio giocano a nascondino, disegnano e ballano davanti all’iPad ridendo come degli sciocchini, mentre noi mamme ci concentriamo sullo scambio culturale più efficace del mondo: quello di dolci tipici.
Betul mi ha fatto scoprire paste e pasticcini meravigliosi; ne cucina in gran quantità, li surgela e se un’amica trova la scusa di accompagnarle a casa la bambina in un giorno di pioggia, lesta lesta mette su tutto il rito del tè turco e riscalda in padella girandole, biscotti e panini dolci.
Questi rotolini di morbida frolla farciti di noci e zucchero si chiamano “kuru baklava”, baklava asciutte, perché non grondano miele e sciroppo come quelle normali.
Sono così buoni che, davvero, non ho parole per descriverli.
Posso solo raccomandarvi di farli: mi sono fatta dare la ricetta da Betul, ed è qui a beneficio dell’umanità tutta.
4° cosa bella – Un buon coltello
È una verità universalmente riconosciuta che una persona largamente provvista di amore per il cibo debba sentire il bisogno di un coltello degno di questo nome.
Come un dottore non va a lavorare senza il suo stetoscopio, un cuoco non va in cucina senza il suo coltello preferito.
Una buona lama forgiata, solidamente chiusa in un manico ergonomico fanno tutta la differenza nella preparazione di una pietanza.
Sembra banale, tanto è ovvio, ma è una cosa che ho scoperto solo facendo un corso di “taglio” 15 anni fa (il più utile che abbia mai seguito, lo consiglio a tutti. Per essere sicura di aver imparato bene, l’ho fatto due volte).
Nella mia famiglia si è sempre fatto da mangiare con degli inutili coltelli vecchi, senza più filo, con lame sottili; con mezzelune che pestavano invece di sminuzzare.
Quando ho scoperto la purezza della gioia del coltello grande, pesante, pieno ed affilato ne ho regalati a tutti: nonni, zii, genitori, fratelli.
E sono diventata una coltello-fila.
Mi piacciono gli Opinel, naif e sinceri; gli Zwilling, decisi e austeri; i Laguiole, quelli veri a serramanico dei contadini dell’Aubrac, non quelli da fighette che hanno il meccanismo finto e non si piegano.
In attesa di fare una gita a Scarperia, il paese toscano in cui da centinaia di anni si forgiano coltelli artigianali da braccianti e da re, ne ho comprato uno che fa trillare di gioia il mio cuoricino entusiasta: è da speck, e l’ho scovato in un’armeria di Bolzano, Lorenzi in Via Bottai. Davvero un bel coltello, un buon coltello.
Il manico è di legno; la lama, per questa dimensione, è spessa e taglia la carta solo a sfiorarla. Costa 12 euro e penso che quando tornerò in zona ne prenderò altri per rifarmi il parco “da bistecca”, perché è stupendo anche da usare a tavola.
Una cosa anche no – l’overpackaging

Un po’ mi contraddico, lo so.
Mi piacciono tanto le scatole di cartone color biscotto, però giuro che preferirei in ogni caso poter portarmi a casa tutto quello che compro senza confezioni.
Ogni giorno, da anni e anni e anni (e anni), devo ricordare al fruttivendolo, al panettiere, in farmacia, alla ferramenta che no grazie, non mi serve il sacchetto di plastica, metto tutto nella mia borsa, sfuso. Ogni giorno mi rispondono “ma guardi che non glielo faccio pagare”, oppure “vabbé, per un sacchetto” o “tanto se vuole lo ricicla”.
Come se ogni sacchetto non dovesse essere prodotto, trasportato nei negozi, trasportato alla fabbrica di riciclo, rimesso in produzione, ritrasportato… tanta energia sprecata, tantissimo inquinamento prodotto quando quelle arance possono viaggiare benissimo in una sporta di paglia tra il mercato e la mia cucina.
Il livello più basso si tocca nei supermercati, dove alle casse ti sgridano se metti due carote e due zucchine nello stesso sacchetto, o se attacchi l’etichetta adesiva direttamente sul limone; e dove ai banchi gastronomici gli affettati vanno nel loro rotolo di carta e pellicola, poi in una busta di carta e infine in una di plastica.
Ma se osservi quanto overpackaging venga usato in questa maniera, ti rispondono che sono ordini della direzione che non possono essere trasgrediti.
Eppure basterebbe immaginare ogni incarto, busta, scatola e flacone usa-e-getta accumularsi nel nostro giardino di casa invece di sparire nei cassonetti della spazzatura (differenziata o meno).
O meglio ancora, nei lettini dei nostri figli: