Indice
- 1° cosa bella – L’educazione sentimentale di un figlio che non ama il piccante
- 2° cosa bella – si mangia su Netflix
- 3° cosa bella – slow cook weekend
- 4° cosa bella – i tutorial di ZoeBakes
- Una cosa che anche no – le posate di legno
1° cosa bella – L’educazione sentimentale di un figlio che non ama il piccante

Non sto cercando di portare Pietro ad apprezzare le gioie del burlesque – non è il mio posto di madre.
Però lo è dargli una mano ad educare il suo palato.
Da bambino era nifitissimo: mangiava tutto destrutturato (anche il panino al prosciutto: prima il pane, poi il prosciutto; e non si dovevano toccare), e preferibilmente tutto dello stesso colore.
Del tutto inaspettatamente, crescendo è diventato invece un buongustaio, sempre interessato al vino che c’è in tavola, a provare nuovi ristoranti, e grande appassionato di trasmissioni di cucina.
Le guardiamo insieme, da quelle più caciare (come Cuochi d’Italia e 4 Ristoranti) e quelle più raffinate (come la masterclass di Thomas Keller sulle verdure).
Ogni giorno, quando si avvicina l’ora di pranzo, mi manda un messaggio da scuola per concordare il menu. A volte, solo per dirmi che ha voglia di “take away cinese brutto” e che quindi mi conviene magiare dell’altro; spesso per chiedermi di comprare qualcosa di specifico che vuole cucinare da solo per rilassarsi – anche se arriva a casa alle tre.
Mi fa così tanto piacere vederlo trovare così tanta gioia e stimoli nel cibo a soli 19 anni, perché alla sua età io non ci ero ancora assolutamente arrivata, e quindi mi aspetto da lui (anzi: per lui) una vita piena di grandi soddisfazioni culinarie.
Tra cui la conquista delle sue balene bianche: gusti acquisiti come il tartufo e il coriandolo in foglia, lo zenzero fresco (dice che sotto i denti gli fa l’effetto di uno stecchino del ghiacciolo) ma anche più ordinari come zucchine e carciofi (i carciofi à la Thomas Keller che ho fatto ieri sera li ha mangiati per coerenza intellettuale).
Ma soprattutto il piccante: non sopporta il peperoncino e se ne cruccia perché gli si precludono quasi totalmente cucine interessanti come quella indiana – perlomeno intesa in maniera filologica.
Così ci siamo accordati per una mitridatizzazione: poco peperoncino alla volta, ogni volta poco di più, con lo scopo di arrivare un giorno a mangiare un vindaloo.
Cos’è un vindaloo? (Ditelo tipo “CHI È TATIANA?!?”) È uno stufato portoghese, poi indiano e infine inglesizzato per diventare assurdamente piccantissimo.

Ordinai un vindaloo di squalo molti anni fa al ristorante del mio idolo Rick Stein, celebrity chef inglese. Era così forte da essere immangiabile, tanto che quando la cameriera passò a ritirare il mio piatto ancora pieno mi disse con tenerezza che “il vindaloo è una cosa che mangiano i camionisti ubriachi quando vogliono fare a gara di virilità”. Non so se quel giorno ho pianto di più per le fiamme o per aver ceffato la cena nel ristorante che avevo sognato per anni e che mi era costato un viaggio in Cornovaglia.
Per ora Pietro non ha passato il primo esame per la patente, ma è ancora in tempo per arrivare a guidare un autoarticolato.
2° cosa bella – si mangia su Netflix
Quando mi sono abbonata a Netflix l’ho fatto perché volevo vedere Chef’s Table – la Woodstock delle chef groupie come me.
Si tratta di una serie di monografie dedicate a cuochi e cuoche di tutto il mondo, solo grandissimi nomi dell’alta cucina.
È così pornografica che devi tenere accanto una scatola di fazzolettini per guardarla.
Ogni puntata può potenzialmente costare centinaia o migliaia di euro a chi la guarda: basta un’ora di vapori e fornelli per farti passare direttamente su Booking.com a prenotare voli intercontinentali e farti a mettere in lista per un tavolo che potrai ottenere solo quando si avvererà la profezia della scimmia di giada e se l’eclisse totale di sole illuminerà l’amuleto del faraone Anubi.
Altra faccia della medaglia: sempre su Netflix c’è ora Ugly Delicious, la serie di David Chang, uno dei grandissimi nomi di cui sopra, e uno che si è stufato dell’alta cucina e insieme al critico culinario Peter Meehan esplora pizza, tacos, banchetti di famiglia a Copenhagen (sì, tacos in Danimarca) come a Tokyo (sì, la pizza più buona del mondo sembra sia giapponese).
Detto così non suona per niente nuovo (state gridando “Anthony Bourdain” con gli occhi rivoltati, lo so), ma invece è diverso.
Punta nella direzione opposta del fine dining perché vuole parlare del cibo che è brutto (ugly) e delizioso (delicious): come un pollo fritto o un curry (qualcuno ha detto vindaloo?) che non sono così instagrammabili, ma che sono così buoni.
E, per capirci, Chang lo fa andando a casa di Rene Redzepi e del nostro Massimo Bottura, considerati i migliori chef del mondo da tutte le classifiche.
Sì, suona ancora uguale ad altre cose che avete visto, ma non lo è: giuro.
Vi consiglio di guardarlo (doppiato, o sottotitolato); è tra le cose migliori che ho trovato in televisione da molto tempo. E vi farà riappacificare con la pizza brutta del take away sotto casa.
Andare su JustEat è molto più conveniente che andare su Booking.
3° cosa bella – slow cook weekend

Questo mese parlo solo di cibo: dovete portar pazienza mentre tesso le lodi dello “slow cook weekend”, e specialmente di quello invernale.
Parlo di la cucina lenta, possibilmente fatta in una enorme cocotte di ghisa, che riempie la casa del profumo di vino che sobbolle con un bouquet garni, in sottofondo Charles Trenet se fai un boeuf en caube; curry e Ravi Shankar se fai un vindaloo; melanzane fritte e la Callas che canta Norma.
È ancora più bello se durante la colazione sfogli qualche libro di cucina per scegliere quello che metterai in pentola, con lentezza, in pigiama, con rabbocco continuo della tua tazza di tè.

4° cosa bella – i tutorial di ZoeBakes

Dovete (DOVETE) assolutamente seguire Zoë François su Instagram, una bellissima signora che vive a Minneapolis e che fa i migliori tutorial di dolci dell’universo. DELL’UNIVERSO!
Li trovate nelle sue Story in evidenza, e – Dio la benedica – ne pubblica uno nuovo quasi tutti i giorni.
I filmati sono minimalisti: su un piano di marmo vediamo le sue mani lavorare contornate da ciotoline con gli ingredienti, senza voce, solo Spotify in sottofondo, e didascalie che spiegano cosa sta succedendo.
I dolci che prepara sono elegantissimi anche se fatti in casa e, con la sua guida, a portata di tutti.
Ogni tutorial è un vero corso di cucina gratis in cui ci viene spiegato cosa succede se facciamo una cosa piuttosto che un’altra, perché Zoë sa che impariamo di più se capiamo cosa stiamo facendo.
Ha scritto molti libri e tiene lezioni negli USA e Canada, ma onestamente, con i video che fa, insegna già tantissimo!

Ps – sapere l’inglese aiuta a capire le battute (fa pure ridere), ma i filmati sono abbastanza chiari per essere seguiti alla cieca.
Una cosa che anche no – le posate di legno

Si potrebbe ragionare se è peggio dover assaggiare il risotto da un cucchiaio di legno o succhiare via gli ultimi fasti di un ghiacciolo dallo stecchino: ma è come discutere del sesso degli angeli, perché entrambi ti aizzano una pelle d’oca alta così e ti fanno diventare la bocca della misura di un chicco di uva passa (avrei detto di un culo di gallina, ma faceva brutto).
Però sono mali universali e codificati: tutti sanno che cucchiaio di legno e stecchino del ghiacciolo sono una cosa che anche no. Li portano alla bocca solo i camionisti ubriachi per mangiare il vindaloo, giusto prima di spaccarsi in fronte una bottiglia di vodka.
E allora perché, da Eataly, se prendi un menu firmato da uno chef di punta come Marco Visciola, a fine pranzo ti portano la Sacher con una forchettina di legno?
La guardo con sospetto prima di fare un tentativo, non voglio credere che sia di “quel” tipo di legno. Sarà di liscio bambù, chissà per quale vezzo dello chef!
E invece.
È proprio fatta di stecchino del ghiacciolo.

La cameriera passando nota la smorfia avicola della mia bocca, mi porta una forchetta vera e con tenerezza mi dice: “Non lo capisco nemmeno io, perché lo fanno”.