Top 5 del mese: 4 cose cose belle e una anche no – agosto 2016

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agosto 2016Ogni mese vi racconto le cose mi hanno colpito: nel bene soprattutto, ma anche nel male. Una dieta molto varia, una cena amara, Lucca di notte, la fiera antiquaria di Sarzana e due maledette campane hanno segnato questo agosto 2016.

1° cosa bella – la dieta è bella perché è varia

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Avete mai avuto delle fasi alimentari?

Tipo che da piccoli mangiavate solo sottilette e uova alla coque e aceto bevuto di nascosto, da adolescenti solo pizze surgelate e brioche alla crema, a 20 anni solo vegetariano, poi senza la bistecca si diventa anemici, poi con il primo figlio solo bio e crema di Budwig, poi il bio costa troppo e quel che non ammazza ingrassa, poi la farina bianca ammazza quindi mangiamo solo quinoa e cavolo nero crudo neanche avessimo il becco come le galline e quattro stomaci come le mucche?

Non sono sola vero? [e l’eco della sua voce si dipanò nel silenzio della rete]

Però con la saggezza portata dall’età ho raggiunto la grande consapevolezza de “la dieta è bella perché è varia”.

E vorrei raccomandarvela, perché la felicità passa da una mente sana che non si nega niente, sistemata in un corpo sano che sa cosa deve fare per mantenersi in bolla: oggi apro la dispensa e il frigo e vedo la qualunque. E sono felice!

Il cavolo nero crudo con limone, mandorle, scaglie di grana e cranberry che a pranzo non mi farà mai venire il cancro, diventa la salsiccia cruda con il finocchietto selvatico raccolto per strada (dove probabilmente sono “passati” dei cani) che a cena mi farà venire subito l’e-coli.

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Posso schiacciarmi direttamente in bocca un sacchetto di Doritos grande quanto un cuscino, come una neandertaliana che si darebbe la clava in fronte per spostarsi la frangia – se solo avesse una fronte. E la sera stessa mettere i tacchi, andare in un ristorante stellato e ordinare in francese 20 microportate che per nome proprio hanno una lista di 40 ingredienti.

Acqua calda e limone appena sveglia, Porto prima di andare a dormire.

Sempre, sempre un paio di fette di salame e/o due dita di fontal con un carciofino sott’olio per ammazzare la fame alle 11 e tirare l’ora di pranzo; preceduti yogurt con frutta fresca e fiocchi d’avena a colazione per tirare le 11.

La morale è sempre quella, fai merenda con Girella!

Tanto, per cena, c’è la quinoa.

2° cosa bella – una cena amara in un modo pazzesco

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Sgombro bollito, ravanello e sambuco fermentati

Il mio ristorante preferito in assoluto si trova a Lucca, si chiama L’Imbuto ed è la creatura di Cristiano Tomei, a cui oggi tutta la critica guarda come al più creativo e divertente chef italiano.

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La storia buffa è che Cristiano fa parte del mio giro di amici di gioventù, solo che lui è entrato nel nostro gruppo proprio quando me ne sono andata io a 22 anni per fidanzarmi e sposarmi con un uomo venuto da molto lontano (Genova: ben 150km).

Gli amici mi dicevano sempre: “Vieni a Viareggio per il weekend, cucina Vitellozzo!” e, a me, non me ne poteva fregare di meno di farmi un’ora e un quarto di macchina per mangiare quel che faceva uno con un soprannome del genere.

Così mi sono persa un gazzilione di crapulate e il piacere di saggiare in prima persona la nascita di un grande talento.

Ho recuperato poi due anni e mezzo fa quando una sera ho detto a mio marito: “e facciamoci ‘sti 180km” (nel frattempo Cristiano si era trasferito con moglie, figlio e ristorante a Lucca).

Quella è stata una delle migliori cene della mia vita, memorabile non solo per il cibo, ma per il format senza carta (decidi solo il numero delle portate, quel che ti arriva è una sorpresa), per l’entusiasmo contagioso del cuoco-showman, che ti fa gli indovinelli a trabocchetto (“Ti è piaciuta la torta di mele? Sì? Era fatta con le cipolle!”); e ti spia da dietro la porta (male, come un bambino che non ha ancora capito come si gioca a nascondino) per vedere se annusi la zuppa prima di infilarci il cucchiaio; e allora ti grida “Brava! Brava! È così che si fa!” facendo sobbalzare gli altri ospiti.

Vi rimando per maggiori dettagli su “l’esperienza Tomei” a un articolo che ho scritto per Il Sole 24 Ore dopo quella prima cena, a cui ne sono seguite diverse altre – da allora abbiamo preso il Telepass per fare prima – per parlarvi dell’ultima, di questo agosto.

Perché se mi sono persa gli inizi, mi sto godendo la fase mediana della crescita di Cristiano, in tutte le salse [gomitatina].

I questi giorni, ad esempio, sta scodellando una teoria di piattini con un concept.

(Grande ilarità quando, dopo un certo numero di bicchieri, gli ho detto: “Cristiano, c’hai il concept, come il White Album dei Beatles!”)

E il concept è amaro.

Dall’ostrica…

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all’ultimo dolce (gelato di mandorla fresca con olio di rosmarino), abbiamo mangiato 16 portate che avevano tutte una nota amaricante in uscita, portata da radici, rape, cortecce, erbe di campo, di pineta e di spiaggia.

Il giro si chiude con un vermouth artigianale non ancora in commercio, che raccoglie tutti quegli aromi officinali che hanno graziato i rognoncini con mou al ginepro e zenzero…

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il cervo marinato crudo con crema di aghi di abete e rafano marinato e poi fritto…

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le carote con il loro gambetto e il baccalà…

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e così via, arrivando anche a un “after eight” di cioccolato amaro e gelatina di cetriolo, con polvere di capperi:

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Perché tra i cinque gusti l’amaro è l’unico che ti pulisce la bocca, è il più digeribile, e il più interessante.

E d’estate, quando l’attività più cardio della tua giornata è leggere sotto una ventola a soffitto, una cena amara in un modo pazzesco è l’unica strada che hai per metterti dentro 16 portate e tre vini e rimanere in piedi.

3° cosa bella – Lucca di notte

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In piedi” è importante, perché così cammini, ché la bottiglia di bianco del Jura, lo sherry dell’85 che sembra uno sciroppo, e il vermouth dell’amico strano del tuo amico matto le gambe te le vorrebbero proprio tagliare.

Così esci in Via della Fratta e dici “andiamo in Piazza dell’Anfiteatro, in che direzione sarà, boh, di qua?” e cammini, cammini per le silenziose, eleganti vie lucchesi, e ti ritrovi sotto la Torre Guinigi, con gli alberi sulla cima, e sei ubriaca e dici “fammi una foto da fashion blogger”…

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e poi sei in via Fillungo e noti che i nuovi negozi portano rispetto alle insegne dei vecchi negozi, che sono tutte bellissime…

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E Piazza dell’Anfiteatro non la trovi, però guarda un po’ questa piazza d’armi, da dove sbuca che non me la ricordavo con gli alberi tutti attorno, che ci fa qui che sembra traslata dalla Francia, per giocarci alla pétanque?

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Ah, ecco, è “una” Piazza Napoleone, l’avrà fatta fare lui nel suo periodo lucchese abbattendo due isolati di palazzi medievali – il solito sborone!

Cos’è questa musica? Ballano il tango davanti al Teatro del Giglio a mezzanotte, con le lanterne per terra… Sembra un film di Moretti, anzi un sogno in un film di Moretti, ma è vero. O è il vermouth?

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Finalmente San Martino, che protegge come uno scrigno la scultura più bella e commovente del mondo: la tomba di Ilaria Del Carretto. A quest’ora non si può vedere, si può solo percorrere con il dito il labirinto scolpito nel portico della facciata romanica, come centiniaia di persone fanno ogni giorno da centinaia di anni. Davanti, il palazzo dell’arcivescovado, che lascia indovinare un meraviglioso, strabordante hortus conclusus con le vigne private del potere che si affacciano sul duomo.

Piazza dell’Anfiteatro era la nostra meta ma non l’abbiamo trovata. Succede se “cammini senza meta”, che alla fine era lo stato mentale che ci guidava.

La passeggiata ci voleva proprio, per assorbire il vino, lo sherry e il vermouth.

Perchè il telepass lo abbiamo, ma il teletrasporto non ancora.

4° cosa bella – “ti compro la fiera”

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© WelcomeSarzana

L’altra città napoleonica che frequento abitualmente è Sarzana.

Per abitualmente intendo una volta all’anno durante “La soffitta in piazza”, un mercato antiquario e di bric-à-brac che si svolge tra tre strade e due piazze ogni estate, per due settimane.

È il rito agostano irrinunciabile e mai mancato da 24 anni, una festa comandata come il Natale, e che come il Natale reca doni – ma solo per me.

Un po’ come se fosse un conguaglio al fatto che il mio compleanno cade sei giorni dopo Natale, e che tipicamente raccatto un regalo e mezzo e per di più accorpato, invece di due autonomi regali interi.

Così una delle poche persone che due regali me li fa sempre, mio marito, ogni estate mi porta a Sarzana e “mi compra la fiera”, che è una fantastica metonimia locale che si usa con i bambini quando li si porta ai banchetti di San Giuseppe e gli si compra una collana di nocciole o una pistola ad acqua fatta in Cina che spara a tre centimetri di distanza.

Il rito prevede una cena in un’osteria a caso, mai con grandi soddisfazioni se non quella di aver lasciato i figli a casa e di poter parlare di argomenti che non comprendano spade laser e compiti di matematica. C’era un ristorantino piacevole, la Taverna Napoleone, ma putroppo ha chiuso da qualche anno.

Poi si percorre tutta la fiera, studiando ogni banco.

Negli anni abbiamo comprato libri, dischi, mobili, piatti, maniglie, stoviglie, stampi per budini, salsiere, alzate, teiere…

Alcuni oggetti mi sono rimasti in gola, e non si muovono da lì dai tempi in cui c’era ancora la lira: mi piacevano tantissimo ma non potevamo permetterceli. Come una zuppiera bianca, enorme e spessa del ‘700 che costava un milione, e due sedie di teak da nave da crociera dei primi ‘900 che costavano 500.000 lire.

Questa estate ero determinata a trovare un’alzata o un piatto da torta da usare nelle foto delle ricette di Cakemania. Per diversi anni un antiquario specializzato in ceramiche tedesche si manifestò con delle alzate molto basse, quasi dei piatti, del periodo decò, con fiori e frutta aerografati in marrone, senape e verde marcio. Non mi convincevano i colori spenti, ma ora mi rode tantissimo non averne mai preso uno, e ogni anni prego di ritrovarlo; ma non è più tornato.

I banchi erano più radi e meno interessanti del solito, e disperavo di trovare la mia fiera. Solo negli ultimi metri ho adocchiato questo prendisole a fiorellini (5 euro) e, dopo una lunga immersione in un banco di libri usati, questi classici che volevo leggere da tempo (10 euro per tutti e tre).

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E alla fine, l’epifania: un bellissimo banco pieno delle cose che piacciono a me!

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Questo servizio ad esempio, di cui rimangono ben 44 piatti piani, 13 vassoi, legumiere e pezzi vari, comprende questo misterioso oggetto:

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Uno scaldavivande su cui poggiare un piatto da portata? Un centrotavola in cui infilare fiori? Nemmeno l’antiquaria lo sapeva! Se avete un’idea sul suo uso, lasciate un commento qui sotto!

Le alzate c’erano ed erano più carina dell’altra: ‘800 francese, in buono stato, ma non piatte e quindi non adatte ad ospitare una torta. Ne ho già diverse di questa forma, e non mi sembrava giustificabile comprarne un’altra.

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Mio marito mi ha però esortato a valutare se questa zuppierina non mi servisse.

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In effetti… per i fagiolini?”, ho suggerito io venedogli prontamente in aiuto.

Poi ti rimane lì in gola se non la prendi. Quelle sedie a sdraio in teak sono già abastanza ingombranti”.

Ah sì, per i fagiolini del pranzo della domenica è perfetta. E anche la quinoa ci starà benissimo.

Una cosa che anche no – le campane del prete

Hai visto l'alba stamattina? ANCHE stamattina?
Hai visto l’alba stamattina? ANCHE stamattina?

Ogni mattina, alle 6.45, con la faccia ancora affondata nel cuscino inveisco alzando le fiche al cielo: “Togli, prete, ch’a te le squadro!”.

Perché a quell’ora, nel bellissimo paesino di mare dove passiamo le nostre vacanze estive, il prete attacca a scampanare per chiamarci tutti alla mietitura del grano – prima che il padrùn dali beli braghi bianchi si accorga che siamo degli scioperati da cinghiare.

La tiritera dura un minuto e mezzo (UN MINUTO E MEZZO di canzoncina ripetuta due volte: non puoi fare a meno di cantarla anche tu mentre mannaggi i santi) e quando finisce sei fatta, non ti riaddormenti più.

Anche perché si svegliano pure i gabbiani, che si mettono subito a far baccano e a menarsi sul nostro tetto guardandoci minacciosi, come a dire: “Ne vuoi anche tu? Vieni a prenderle!”.

So che una volta un paesano entrò in chiesa durante la messa e al prete gli menò più che a un gabbiano perché aveva parlato male di sua figlia durante un’omelia.

Ogni mattina d’estate da 24 anni, alle 6.45 mi chiedo come sia possibile che nessuno di questo paese sia ancora salito sul campanile per farlo volare giù. Come un gabbiano.