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Taralli: quanto so’ bbòni? A casa loro, cioè nelle regioni meridionali del paese, vi risponderebbero assaje.
Per un certo periodo di tempo ho pensato che fossero solo pugliesi, invece documentandomi ho scoperto che ci sono più regioni a vantare il diritto di chiamarli prodotto tipico.
I taralli in ogni regione
Sebbene siano, ovunque, fondamentalmente un anello di pasta non lievitata che viene cotto al forno, ogni regione ha la sua specialità:
- Basilicata: taralli ai semi di finocchio, ai peperoni cruschi (tipici della zona lucana), al mischiglio (un mischiotto di farine di legumi e cereali composto da ceci, orzo, grano tenero, grano duro e fave o anche detto favino), al farro, alle olive, allo zucchero e all’aviglianese, con glassa;
- Calabria: bianchi, morbidi, ai semi di anice, ai semi di finocchio, al peperoncino;
- Campania: taralli intrecciati, al vino, con le mandorle, con l’uovo, taralli di Agerola, sugna e pepe, al naspro, taralli di San Lorenzello e la famosa ‘nfrennula di Sant’Agata de’ Goti;
- Lazio: taralli bianchi semplici, dolci al vino con lo zucchero (che faccio anche io in versione ciambellina), al basilico
- Molise: taralli ai semi di finocchio e taralli dolci nasprati
- Puglia: taralli neri col vin cotto, con lo zucchero, al cioccolato, con albume d’uovo, alla pizzaiola, ai semi di finocchio, al capocollo, alla cipolla, al peperoncino, patate e rosmarino e taralli al grano arso
Le antiche origini del tarallo
Hanno origini antichissime e anche questa per me è stata una scoperta.
Negli anni ’70, in provincia di Brindisi – a Oria, per la precisione – sono stati rinvenuti dei resti di panificati carbonizzati presso Monte Papalucio, un santuario posto su un piccolo rilievo anticamente dedicato al culto delle divinità greche Demetra e Kore.
Costruito in età arcaica (tra il VI e il V secolo A.C.), ebbe un grande sviluppo durante la fase ellenistica (IV-III A.C.), alla quale si fanno risalire gli abbondanti residui archeologici di prodotti panificati di varie forme, tra i quali sono stati riconosciuti:
- impasti molto friabili simili alla pasta sfoglia
- impasti molto compatti e senza una forma definita, per i quali si è giunti ad ipotizzare l’uso di farine di fave
- gli antenati dei taralli, ovvero impasti compatti, dalla struttura porosa che ne suggerisce l’originaria friabilità, tra i quali sono stati identificati prodotti di forma circolare con un affossamento centrale, nel quale veniva alloggiato un “soldino” realizzato col medesimo impasto (quindi il Mulino Bianco non si è inventato niente).
Per approfondire la spiega leggete qui.
Ecco la video-ricetta
Fare i taralli: tutto quello che dovete sapere
I taralli si fanno con pochi ingredienti e quando una cosa si fa con pochi ingredienti, per farla venire buona bisogna scegliere la materia prima migliore.
In questo caso:
- l’olio – io uso quello che facciamo in campagna da noi in Toscana, ma se lo dovessi comprare, sceglierei un pugliese
- la farina – io uso la Maiorca di Farina Petra, una farina debole e quindi adatta a frolle, dolci e salati a lievitazione breve. È integrale, ma bianca con piccoli fiocchi dorati, perché si fa con il grano tenero Maiorca coltivato in Sicilia, che ha appunto il chicco bianco, una spiccata dolcezza e un aroma di miele. Sa di campagna di altri tempi, è semplicemente commovente! Usate il mio codice sconto del 5% SASHAPETRA quando comprate sullo shop aziendale.
Ingredienti per 100 taralli
- 500 gr farina Maiorca (in mancanza vanno bene anche Petra5 e Petra0415)
- 175 gr vino bianco
- 100 gr olio extra vergine di oliva
- 12 gr sale

Metodo
I taralli si fanno a mano.
- Mescolate la farina con il vino, in modo da bagnarla più uniformemente possibile.
- Unite il sale e l’olio e lavorate qualche minuto, fino ad avere una consistenza omogenea. La massa, noterete, fa delle spaccature: è un effetto normale degli impasti all’olio.
- Coprite con una ciotola (non serve pellicola: io non la ho in casa da anni!) e lasciate riposare per un’ora.
- Tagliate un pezzetto di impasto alla volta, e fatene dei cordoli sottili facendoli rotolare sotto le dita.
- Formate i taralli come preferite: a goccia o ad anello, e posizionateli man mano su un vassoio.
- Calateli in acqua bollente (ma non agitata) e fateli cuocere finché non vengono a galla, come se fossero degli gnocchi.
- Spostateli man mano con la schiumarola su un vassoio coperto su un canovaccio per farli raffreddare.
- Appoggiateli quindi su una placca antiaderente (meglio ancora se microforata), o rivestita con un tappetino antiaderente (il mio è in fibra di vetro, riutilizzabile) e infornate a 160° in modalità ventilata per 45 minuti.
I taralli sono pronti!
Sarebbe un po’ un peccato coprire il sapore di Farinapetra Maiorca, ma si può anche usare questa ricetta di base per inserire altri ingredienti: ad esempio con la cipolla, da tritare finemente e rosolare in padella con poco olio prima di mescolarla all’impasto.
I taralli si conservano perfettamente per mesi in un barattolo di vetro.