Indice
- 1° cosa bella – l’estate dei nove anni
- 2° cosa bella – habemus terrazzo!
- 3° cosa bella – c’è una crepa in ogni cosa
- 4° cosa bella – cane is the new mindfulness
- Una cosa che anche ni – prendi un fico, trattalo male
1° cosa bella – l’estate dei nove anni

L’estate dei nove anni è quella del primo romanzo scelto e letto in autonomia.
L’estate dei nove anni è quella dei primi giri in bicicletta senza supervisione.
L’estate dei nove anni è quella delle prime commissioni per la mamma e il papà.
L’estate dei nove anni è quella del primo centro estivo, e di una settimana lontano da tutta la famiglia.
L’estate dei nove anni è quella delle prime chiavi di casa.
L’estate dei nove anni è quella delle prime indipendenze: quella che ricorderà per sempre.
2° cosa bella – habemus terrazzo!

Voi che da mesi seguite con pazienza le stazioni della mia passione, sappiate che ci è stato restituito il terrazzo!
Circondato da ponteggi, sì, ma abitabile.
Come i muratori lo hanno lasciato, siamo subentrati noi per rivedere la sistemazione delle piante, rifare l’impianto di irrigazione, ripitturare i mobili, mettere nuove luci nella zona gazebo e installare delle grate di legno lungo due lati delle balaustre per avere più privacy.


Per portare su dei grossi vasi di terracotta e rimpiazzare tutto quello che era di plastica e rinvasare tutto quello che aveva bisogno di più spazio per crescere, abbiamo approfittato del montacarichi dell’impresa edile e della gentilezza dei muratori.
Che ci danno persino l’acqua alle piante prima di andare via: l’ho scoperto un giorno che ne ho trovato uno che annaffiava i gelsomini, mentre tutti lo prendevano in giro perché compra semi, bulbi e fiori in Italia e li porta in Albania in aereo, dove – dalle descrizioni – deve avere un parco, più che un giardino! Non sembra economicamente sensato, ma al cuore di un organismo dotato di pollice verde non si comanda e io e Assam ci siamo capiti con un sguardo: perdoniamoli, non sanno quello che dicono.
Abbiamo trasferito dal cortile al terrazzo piante e alberi che giù erano troppo ingombranti (secondo mio marito, a me piaceva la mia piccola giungla) e che su hanno creato delle bellissime cortine verdi che ci riparano dalla vista dei vicini, e come delle quinte dividono lo spazio in zone diverse, facendolo percepire come più ampio.
Le buganvillee, le orecchie di elefante, gli agrumi, gli oleandri con i vasi nuovi sono esplosi con una vitalità finora a noi sconosciuta. È una gioia vederli crescere così frondosi!
Le yucche hanno patito molto i calcinacci dei lavori, e sono seccate in gran parte, ma sono ancora vive.
Le palme sono stoiche. Il loro atteggiamento è meh. Con il culo che ci siamo fatti per rinvasarle (PUNGONO e sono sono pesanti) e ne stanno, invariate, un po’ più secche – soprattutto quella che è caduta durante una tromba d’aria e ha avuto il vaso rotto per due settimane prima che potessimo sostituirlo. Ecco, se devo dirlo mi piacerebbe un po’ più di gratitudine, o almeno di partecipazione allo sforzo comune, da parte delle palme.

La star del terrazzo comunque è il lavandino: un metro e mezzo di porcellana vecchia scuola, comprato usato per 50 euro, con un bel rubinetto di ottone (ho girato tanto e alla fine l’ho trovato su Amazon) e spazio sotto per riporre l’attrezzatura da giardinaggio.
Prima non c’era e ora mi riempie di gioia perché è superpratico sia come piano d’appoggio che come punto per lavarsi le mani, sciacquare le cesoie e i guanti… gli ho allestito anche un gancio con un canovaccio e un vaso di coccio che nasconde il sapone e una spugna. Mi pare un lusso inenarrabile avere tante comodità!
3° cosa bella – c’è una crepa in ogni cosa

Ed è da lì che entra la luce (Leonard Cohen).
Abbiamo lasciato la casa di città in mano ai muratori e ci siamo trasferiti in quella delle vacanze mentre loro rifanno gli intonaci rovinati dalle infiltrazioni esterne. Sulla facciata immagino un nugolo di coloritori (è una vecchia casa genovese con decorazioni moooolto leziose che vanno riprodotte al millimetro), dentro taaaanta polvere e mio figlio Pietro che presidia il fortino in acido perché è solo in casa e non può divertirsi a cucinare come se fosse un finalista a Masterchef.
Le ultime settimane sono state estremamente stressanti per poter arrivare ad organizzare il calendario nostro e dell’impresa in modo da fare il passaggio ottimale in vista di ferragosto, quando dovrebbero riconsegnarci tutto riparato, ripitturato e ripulito.
Questo ha significato un trasloco interno per svuotare quasi tutte le stanze e ammucchiare in quelle rimaste mobili, quadri, libri, dischi, biancheria, la qualunque.
Anche io sono in acido al pensiero di quanto lavoro ci sarà ancora per me quando rientreremo.
Ma vedo la luce da quelle crepe (letteralmente: ci entrano la luce, l’acqua e il vento), e illumina una casa che tra un mese sarà bellissima.
E non mi cadrà più in capo.
4° cosa bella – cane is the new mindfulness

Vi ricordate il mio straziante appello per trovare una famiglia in campagna a Greta, il cane che volevo adottare ma che era troppo fragile per poter affrontare una vita di città, in quanto terrorizzata da macchine e persone?
Beh, dopo aver scritto quel post e aver pianto tutte le mie lacrime, la capa del rifugio dove si trova Greta mi ha detto che la cagnetta del mio cuore ha ampi margini su cui lavorare e che con tempo e pazienza si può arrivare a renderla abbastanza tranquilla da potersi trasferire da noi.
Così abbiamo cominciato un percorso riabilitativo con lei, prima di tutto per farla abituare a me, e poi alla città.
(Ora: chi passerebbe da vivere in un bosco silenzioso e vedendo poche persone, al traffico di camion, auto e bus, scolaresche e gente che cammina veloce senza avere un attacco di panico?)
Dallo scorso maggio vedo Greta un paio di volte alla settimana, quasi sempre al rifugio, ogni tanto nel mio quartiere affinché prenda confidenza con i percorsi che poi farà tutti i giorni.
E mentre sono lì per fare terapia sociale a lei, mi rendo conto di quanta pet therapy lei faccia a me.
Quando sono con Greta non penso ad altro che non sia osservarla, ingaggiarla con discrezione, sopportare la delusione di quando mi abbaia, cercare di non soffocarla di baci quando mi porge la zampa e mi lecca la faccia.
In più, il rifugio è tagliato fuori dalla linea telefonica, e internet non prende. La fotografo e poi posto le foto su @2blondes6legs, il profilo Instagram che ho creato per raccontare la nostra storia, i successi, i passi indietro, le cose che scopro avvicinandomi al meraviglioso mondo del volontariato per gli animali.

In questo picco di stress e stanchezza, tagliare via delle mezze giornate così non è conveniente sotto nessun punto di vista. Escluso il fatto che, appunto, quando sono con Greta non penso a niente. Mi rinfranca, mi rilassa e mi tonifica.
E ciaone yoga: cane is the new mindfulness.

Una cosa che anche ni – prendi un fico, trattalo male

Lascia che aspetti l’acqua per giorni.
Così mi ha detto il mio amico d’infanzia Marco Luporini, che fa il giardiniere e che con tanta pazienza sopporta i miei messaggi ossessivi (“Ciao Marco, è cocciniglia questa sul limone? Ciao Marco, ha nevicato sul ficus elastica: devo potarlo adesso? Ciao Marco, perché ho l’unica edera al mondo che non cresce?”).
Per sua fortuna abitiamo a 300km di distanza, così ha un’ottima scusa per non dover passare a vedere di persona cosa sto sbagliando.
Ora, l’idea di sottoporre il fico, importante regalo di mia madre per il nostro 25° anniversario di matrimonio, al trattamento Marco Ferradini-Luporini ha fatto inorridire il vivaista da cui l’ho comprato e il tipo dell’agraria dove gli ho preso vaso grande come una piscinetta per bambini e la terra per riempirlo.
Ma io il fico l’ho voluto per sentire quell’inconfondibile profumo di estate mediterranea che sale dalle rocce lungo le strade in cui si è insinuata una pianta ribelle che vive di niente, quel fico barbone che porta frutti anche se nessuno lo concima, che beve solo acqua piovana e le radici non si sa dove siano andate a ficcarsi.
Il fico, secondo la teoria dei Marchi, sprigiona i suoi oli essenziali sotto il sole proprio perché è uno scugnizzo.
Il fico dei quartieri alti, curato, pulito e accasato, no.
Ecco cosa è successo al mio.
È arrivato baldanzoso con un fiocchetto bianco sul tronco, la chioma fresca di tosatura, bella tonda e ordinata e tanti fruttini tra le foglie verdi e totalmente inodori.
Gli abbiamo conferito della terra nuova da orto (contravvenendo al consiglio di Marco di usare qualcosa di minerale anziché organico) e messo l’irrigazione per 5 minuti due volte al giorno.
Dopo due settimane che era a casa, da un giorno all’altro ha perso quasi tutte le foglie. Quelle rimaste profumavano di fico e, udite udite, di cocco: l’albero era brutto, ma tutt’intorno l’odore stupendo che ho sempre desiderato.
Mi sono però allarmata, e avuto paura che stesse morendo.
Il vivaista mi ha sgridato e mi ha detto di dargli più acqua.
Ho obbedito.
Il fico ha fatto qualche nuovo butto e ha smesso di profumare.
Che devo fare? Voglio un fico rigoglioso e fragrante come quelli che sfidano ogni logica lungo le strade della Liguria.
Sto chiedendo la botte piena e la moglie ubriaca?
Aspetto i vostri consigli.
Appendice del pollice verde così scuro che sembra quasi nero
Io ci metto tanta buona volontà, e tanti messaggi al mio amico giardiniere, ma devo dire che devo inghiottire qualche rospo se confronto le mie piante con quelle che vedo intorno a casa mia.
Queste sono le mie yucche:

Queste sono le yucche del benzinaio (non credo vengano molto curate):

Questa è la mia bouganvillea (e dovevate vederla quando stava male):

Questa è la bouganvillea due strade dopo la mia:

Ma se Marco non mi blocca su Whatsapp, forse posso arrivarci anche io.