Top 5 del mese: 4 cose belle e una anche no – giugno 2018

Una rocambolesca notte prima degli esami, una finestra aperta sull'aria fresca e una sul futuro (con l'aiuto di un insegnante illuminato). E una botte sempre piena.

Indice

1° cosa bella – notte prima degli esami

La sera prima dello scritto di italiano di Pietro abbiamo festeggiato le nozze d’argento in grande intimità: noi sposini novelli, i tre figli, la nuora, il nipotino e il gatto nella nostra casa circondata dai ponteggi (smetterò di parlarvi dei ponteggi quando li toglieranno; o forse un po’ dopo).
Tutto quello di più bello che abbiamo costruito insieme in 25 anni di matrimonio, insomma.

Dopo una piacevolissima cena in terrazza siamo andati a letto felici di essere tutti sotto lo stesso tetto, ma anche in un leggero stato di ansia per l’esame di maturità che stava per iniziare: due emozioni che controbilanciandosi tutto sommato producevano serenità.

Finché alle 4 non è suonato l’allarme sui ponteggi.

Non abbiamo nemmeno pensato che potessero essere dei ladri, solo un malfunzionamento dei sensori: quelli dei ponteggi dei nostri dirimpettai innescano la sirena in continuazione.
Quindi nominando un paio di santi, mio marito è sceso in cortile per spegnerlo… scoprendo che non era acceso.

Non c’è stato quindi modo di zittirlo, finché non si è stancato e si è spento da solo dopo 5 o 10 minuti, o forse un’ora… era buio, eravamo in acido perché Pietro grande non poteva dormire, perché Pietro piccolo si era svegliato spaventato e non bastava un bibe di latte a calmarlo, perché il gatto era scappato approfittando della confusione, perché stavamo tenendo sveglio tutto il vicinato – a quel punto eravamo troppo disperati per tenere il conto.

Poi è successo di nuovo alle 4.30.

Poi è successo di nuovo alle 5.

Poi è successo di nuovo alle 5.30.

Mentre io telefonavo invano al direttore dei lavori, mentre marito e figlio grande scorrevano tutto il calendario gregoriano dei martiri e dei beati davanti all’interruttore spento dell’antifurto, mentre la sirena ci assordava tutti, si è presentato il vicino (nel cui giardino scappa sempre il gatto) urlando di spegnerlo e chiamare la proprietaria (io, suppongo). Come se non avessimo notato che il nostro allarme stesse suonando da due ore e mezza.
Dopo aver sfogato la frustrazione consigliando al vicino di ringraziare i suoi santi personali che c’era un cancello chiuso tra loro due, al marito si è schiarita la mente e gli è venuto in mente che forse gli elettricisti il giorno prima avevano collegato tutto il cantiere, l’antifurto e le luci del terrazzo in un unico interruttore – senza dircelo.

E infatti.

Dopo cena avevamo spento le luci del terrazzo, staccando l’alimentazione al sistema di allarme che dopo quattro ore ha scaricato le sue batterie e si è offeso. È bastato fare click, come per accendere la luce, perché tutto tornasse a posto.

alba rosa

Dar gabbio dei ponteggi abbiamo guardato l’alba rosa e ci siamo finalmente calmati.
I ragazzi sono usciti con il piccolo nel passeggino a fotografare il mare nella luce del primo mattino e a comprare focaccia e bomboloni per tutti.
Alle 7 eravamo tutti colazionati, docciati e vestiti.
Pietro, per la prima volta in vita sua, credo, è stato il primo ad entrare in classe.

E nonostante la sua notte prima degli esami vissuta in compagnia di tutta la famiglia, di tutti i santi e di un vicino intraprendente, ha scritto un tema sulla solitudine da 10.

2° cosa bella – una lezione magistrale

Della solitudine creata dalla paura degli allievi (di non saper rispondere) e dei professori (di non saper insegnare) parla lo scrittore francese Daniel Pennac in questo video che vi consiglio di guardare.

https://www.youtube.com/watch?v=Okmgnaj38Hg

Oppure, per farvi un riassuntino sciuè sciuè: Pennac racconta che era un pessimo studente, che non faceva i compiti e inventava scuse di ogni genere. Finché un professore non gli ha detto: “La tua fantasia usala per scrivermi un romanzo invece che per raccontarmi delle bugie. Non ti darò più compiti, ma tu portami 10 pagine alla settimana”.
Questa intuizione, questo sguardo oltre l’ovvio, questa attenzione generosa hanno trasformato “uno studente passivo in uno studente attivo”, per usare le parole di Pennac. E ci hanno regalato uno dei maggiori scrittori degli ultimi 50 anni.

Mi sono sempre chiesta perché spesso chi insegna non si renda conto del superpotere che ha in mano: un suo singolo commento può cambiare il corso della vita di una persona; il giudizio di una figura di riferimento, l’autorevolezza di quel ruolo fanno la differenza.

Lo so perché ho avuto un’esperienza simile a quella di Pennac.

Ho fatto il ginnasio al liceo classico, dove la mia überprofessoressa di latino-greco-italiano-storia-e-geografia aveva deciso che non avrei “combinato mai niente di buono nella vita” (cit.) e si era premurata, quando avevo 15 anni, di far chiamare mio padre dal preside perché questo concetto potesse essere chiaro anche a lui: gli dissero di ritirarmi da scuola, visto che avevo tre materie insufficienti.

Ero sempre stata una brava studentessa, con una spiccata inclinazione per le materie umanistiche e artistiche fin dalla prima elementare: cosa poteva essersi interrotto così brutalmente al primo anno delle superiori?
Niente che non fosse imputabile alle distrazioni dell’adolescenza, roba non certo nuova per una professoressa del ginnasio.
Ma… come mettervelo in termini semplici ed eleganti? Le stavo sul cazzo. E le ci pesavo.
Per dire, mi diede 6 meno-meno-meno in un tema (non c’erano errori, non poteva darmi un’insufficienza) e un giudizio che iniziava con “Se continui così, mia cara…”.

I miei genitori capirono finalmente perché volevo cambiare scuola e con mia nonna che mi copriva le spalle e la retta passai ad un piccolo liceo linguistico.
A dispetto di tutto quel che si dice delle scuole private, non ci trovai un parcheggio per teenager pigri, ma insegnanti eccezionali che lavorando in squadra ci stimolavano facendo teoria della letteratura e incrociando italiano, inglese e francese.

E a me, che aspettavo da sempre di andare all’Accademia di Belle Arti, la vita me l’ha cambiata la professoressa di italiano il giorno che consegnandomi un compito in classe lo trattenne un attimo stringendolo tra le mani, e socchiudendo gli occhi mi disse piano, in segreto: “Sasha… come scrivi bene, Sasha”.
Ne fui così sorpresa e grata che ebbi il coraggio di partecipare a un concorso letterario, e lo vinsi. Che alla fine, dopo aver passato l’esame per entrare all’Accademia, decisi di iscrivermi a Lettere e di fare dello scrivere il mio mestiere.

E a oltre 30 anni di distanza, mi piace pensare che quel tema stretto tra le dita della Professoressa Fedi non fosse nemmeno un granché, ma che lei sapesse che avevo bisogno di sentirmi dire quelle parole, in quel momento.

3° cosa bella – tre pezzi di plastica

plastica spiaggia

Da tutti i miei trascorsi scolastici mi è rimasta addosso la predisposizione a fare la maestrina dalla penna rossa. Sono molto brava a dare simpatiche lezioni di vita a chiunque si trovi nel mio raggio d’azione.
Tipo che se vedo uno che per strada accartoccia e butta uno scontrino, corro a raccoglierlo e glielo rimetto in mano sorridendo: “scusi signore, le è caduto questo!”

Oggi infatti vi catechizzo sul principio di raccogliere la plastica che trovate in giro.

Inizio il pistolotto:
“Andiamo oltre il riciclo, oltre il riutilizzo, oltre il rifiuto di comprare in primo luogo prodotti di plastica: il motto che viaggia adesso per il mondo è “quando vai in spiaggia, porta via tre pezzi di plastica”!”.
Siamo infatti arrivati a un livello di inquinamento così disperato che ognuno di noi deve metterci letteralmente mano, e proprio per questo Greenpeace ha attivato il plasticradar, un sistema di delazione da usare quando troviamo spazzatura sul litorale mandando una foto via whatsapp al numero 393423711267. Qui c’è un video di un minuto che spiega come usarlo.

Io dimentico sempre di portare un sacchetto all’uopo, ma non di raccogliere tappi, cannucce, pezzi di capsule per il caffè che trovo sulla battigia. So che almeno quei tre (o 10) pezzi non finiranno in acqua e poi nello stomaco di qualche pesce o uccello marino.

4° cosa bella – dormire con la finestra aperta

Fa subito vacanza. Perché a Genova non è possibile, anche con il caldo più carontino: il rumore della strada taglia via la prima parte dell’equazione, il dormire.

Ma quando siamo al mare o in campagna, il relativo isolamento ci permette di respirare il fresco umido della notte e di svegliarci presto con i grilli e la luce che il resto dell’anno banniamo con le tende più oscuranti che abbiamo trovato sul mercato.

Tutto sommato forse si dorme anche meno: le zanzare stanno a mio marito come gli uccellini stanno a Biancaneve, in campagna l’asino che vive a tre chilometri in linea d’aria ci dà il buongiorno alle 6, e al mare le gang fight dei gabbiani sui tetti alle 5 sono spaventose.

Però la finestra aperta è il cambio di marcia fondamentale che dice “ferie”.
Speriamo che non piova!

Una cosa che anche no – botte piena, moglie ubriaca

Bei tempi…

Lo annuncio con grandissima amarezza: sono diventata una figura retorica, un personaggio da commedia dell’arte.

A me, che più di ogni altra cosa piace mangiare e bere, proprio a me è capitato di diventare intollerante anche alla minima quantità di alcol.

Non sono mai stata una bevitrice: astemia fino una dozzina di anni fa, mi sono gradualmente educata ai piaceri del vino, della birra e dei distillati godendo appieno dei miei mezzi bicchieri a tavola, degli assaggi in cantine e mescite, degli abbinamenti scelti dai sommelier e dalle gite in enoteca a comprare nuovi vini da provare.

Ma ora? Due sorsi di Chardonnay e in 10 minuti scatta un interruttore che improvvisamente mi mette un sasso in testa, mi fa biascicare le poche parole che riesco a mettere insieme, annebbia tutto quello che succede intorno e mi porta sull’orlo dello svenimento.

Non è solo umiliante: mi sento proprio male, ci metto ore a riprendermi e il giorno dopo ne sento ancora le conseguenze.

Una volta ridevamo tutti insieme degli effetti di un “Bloody Mary sulla Sasha” – la mia amica Chiara negli inviti di gruppo ci chiamava a raccolta con “facciamo sdraiare Sasha sugli scalini del mio giardino”.

Ieri sera mentre mi spostava di peso da tavola al divano, mio marito ha detto tutto tronfio: “Sono l’unico uomo al mondo con la botte piena e la moglie ubriaca!”.

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