Indice
- 1° cosa bella – a 20 a 50 in 40
- 2° cosa bella – abbracciarsi con il gomito
- 3° cosa bella – piccola imprenditoria femminile
- 4° cosa bella – i limoni del signore
- Una cosa che anche no – dove sono tutti i miei vegetti?

1° cosa bella – a 20 a 50 in 40

Non ci siamo visti per tre mesi, ma durante il lockdown abbiamo goduto di un nuovo interesse comune con nostro figlio Federico: lui che quando abitava con noi era completamente distaccato dalle avventure dell’orto di famiglia in terrazza, una volta che si è trovato chiuso in casa-e-giardino a Milano ha avviato la sua fazendina: insalate, pomodori, peperoncini, erbe aromatiche, cetrioli.
Vero è che aveva cominciato a fare giardinaggio in mesi non sospetti; ma si trattava di mettere ordine tra il praticello, i fiori e gli alberi lasciati lì dagli zii che prima abitavano in quella casa, in modo da creare un’area di gioco sicura per il suo bambino.
Con il tempo libero-forzato della quarantena il progetto ha preso la direzione del “victory garden” (come si chiamavano gli orti di autosostentamento in guerra) e, per renderlo un’impresa sportiva più eccitante, in una competizione tra amici dell’ambiente skate da giocare su Whatsapp e Instagram.
“Facciamo le scianche dell’orto”, mi ha detto mentre snocciolava tutti i vari agronomi e giardinieri che segue on-line per arrivare a raccogliere il primo pomodoro del torneo: diversamente da me, che sono fedele alla linea, non gli basta Monty Don. Chiede consigli a genitori e suoceri, ma soprattutto sperimenta da solo esposizioni, talee, mini-serre, concimazioni.
Quando non era possibile comprare terra e semi all’Esselunga insieme alla carta igienica e al pane, e gli ordini on-line on arrivavano mai, ci rimaneva malissimo.
“Però ci prendevi in giro quando abbiamo cominciato noi, eh”, gli ho rinfacciato.
“Già, chi lo avrebbe mai detto: sono passato da 20 a 50 anni in 40 giorni!”.
2° cosa bella – abbracciarsi con il gomito

Con maggio è arrivato il permesso di uscire in due, poi con i figli, poi di incontrarsi fuori con gli amici e financo di ricongiungersi con gli affetti stabili.
Non ci si può abbracciare e baciare, e sopra le mascherine stringiamo occhi commossi mentre ci tocchiamo solo il gomito e la punta delle scarpe pur di avere un minimo contatto fisico. Dopo la paura, dopo lo stress, dopo aver perso dei cari, si ha proprio voglia di tastarci, di sentire che ci siamo, che siamo proprio noi in carne e ossa, che stiamo bene. È un po’ come fare la conta, o l’inventario di chi è rimasto.
Che brutto non potersi abbracciare, ci diciamo tutti.
Torneremo ad abbracciarci, ha promesso Conte.
Ma lo faremo davvero senza pensieri, magari tra un anno? O quel metro di distanza sociale rimarrà una sensazione di disagio poco elegante, ma vero anche se non nominato, come la vista di uno zaino senza padrone in aeroporto?
I francesi riprenderanno l’abitudine di baciarsi tre volte per salutarsi anche quando si stanno sul culo?

O si dirà adieu à la bise come alle bottigliette d’acqua oltre il controllo bagagli?
Aspetto di sentire nei vostri commenti cosa prevedete; nel frattempo sappiate che, se vi incontro, una gomitata e un calcetto di punta non ve li leva nessuno.
3° cosa bella – piccola imprenditoria femminile

Il giorno in cui è stata riaperta al pubblico la grande terrazza sul mare dove porto la Shu a giocare con i suoi amici, ad aspettare tutti noi canari c’era una ragazzina con un vassoietto appeso al collo (come quelli degli snack al cinema negli anni ’50) con della roba sopra e il disegno di un cane sotto.
Sistemava la sua merce in modo visibile, ma senza proporsi. Le ho chiesto se vendesse qualcosa e da sotto il cappello, gli occhiali e la mascherina ho sentito arrivare un “sì!” raggiante.
Sul vassoio c’erano giochi per cani, fatti con vecchie magliette attorcigliate e intrecciate (“pulite, eh!”), per fare tira e molla e lanciarli per il riporto, di diversi modelli, due misure e quindi due prezzi; e delle gelatine di carota e mela fatte in casa per i cani che hanno dei bravi padroni che sostengono il piccolo commercio locale.
Quel giorno non avevo soldi con me e le ho chiesto di tornare la mattina successiva; e la mattina successiva con gli altri canari le abbiamo comprato tutto.
Non vedevo l’ora di chiedere a questa bambina se aveva dei progetti speciali per i suoi guadagni. “Comprare cose buone da mangiare per il mio cane, e poi qualcosa per me”, mi ha risposto sicura (ovviamente, aveva un piano).
Mi è piaciuto tantissimo il suo senso imprenditoriale: l’essere stata pronta con la sua offerta nel giorno clou della riapertura, l’aver pensato all’omaggio speciale e a fare prezzi concorrenziali. A fare tutto da sola, a 12 anni.
Ho poi scoperto che è la figlia di una canara che frequenta ogni tanto la terrazza, e che quindi conoscevo già Toffee, la simpatica cucciola di Airdale terrier che godrà dei frutti del lavoro della sua padroncina.
Ho chiesto a sua madre se potevo parlare di lei nella mia top 5 e mettere anche la sua foto, e quindi… eccola qui. Una ragazzina che sa quel che vuole e lavora per ottenerlo.

Quando ero piccola anche io facevo il mercatino: al mare, su un asciugamano coperto di braccialetti e collane di perline, e confezioni di calze con la riga degli anni ’50 e ’60 rimaste dal negozio dei genitori di mio zio.
Diversamente dai miei gioielli, le calze andavano a ruba: le signore non riuscivano a credere ai loro occhi quando le vedevano. Erano merce rara e quindi ben pagata: ho potuto comprarmici parecchi Topolini dagli altri bambini che animavano il suq tra le cabine e le docce.
Però non avevo più visto questo tipo di negozietto: a parte un banchetto delle limonate in America qualche anno fa, e i pochi bambini che approfittano del mercato antiquario di Sarzana nelle serate di agosto per togliersi di mezzo Gormiti e Barbie in disarmo.
Quindi… è semplicemente bello vedere ancora bambini liberi di mettere alla prova le loro idee. Il mio Mario ha mille idee imprenditoriali, e quella che sta coltivando adesso è minare bitcoin.
Peccato che per avviare la propria zecca privata non bastino delle vecchie magliette o qualche limone in più, ma servano dei computer potentissimi e molta energia elettrica!
4° cosa bella – i limoni del signore

Quando ha visto il primo sacchetto pieno di limoni sul banco di cucina, Mario in effetti ha chiesto: “Facciamo la limonata e la vendiamo?”. E io da mamma guastafeste degli anni 2000 ho detto: “No, ci facciamo la limonata per noi”. C’è l’HACCP, per Dio.
I limoni arrivavano da uno dei miei giardini preferiti: quando passeggio con la Shu faccio in modo di passarci davanti per osservare come procede la pergola d’uva e a che altezza sono arrivati i pomodori. Ma soprattutto per invidiare tantissimo l’enorme limone che copre la facciata della casetta in cui vive un signore piccolino e molto gentile.
A inizio maggio l’ho trovato per la prima volta lì fuori, a tagliare l’erba. Ho aspettato che mi notasse attraverso il cancello e gli ho fatto i complimenti per l’orto, la pergola, e soprattutto per il suo magnifico albero sempre carico di limoni.
Fare i complimenti per orti e giardini è la cosa migliore delle mie mattine: spero sempre di beccare i proprietari con la zappa in mano, nelle ore più fresche, per dirgli semplicemente: “Complimenti per l’orto, splendide zucchine!” e vedere un gran sorriso. Perché so quanto piacerebbe a me: è così bello ricevere un apprezzamento da una persona sconosciuta!
Comunque, anche il signore era felicemente sorpreso della mia discreta incursione, e dopo aver detto grazie mi ha subito chiesto: “Ne vuole?”.
Che domande!
Per educazione mi sono schernita e l’ho lasciato insistere, e visto che insisteva (mi ha pure chiesto se avessi una cassetta!) ho accettato la gentile offerta.
Sono così tornata a casa con una ventina di limoni, e con questi ho fatto lo sciroppo da limonate e granite.
Qualche giorno dopo ho lanciato nel suo giardino una busta con dei semi del mio nasturzio – qualcosa volevo dargli anche io.

Dopo un paio di settimane l’ho ribeccato in giardino.
“Buongiorno, ha trovato i semi che le ho lasciato?”
“Ah, buongiorno signora! Sì, li ho pianti in fila lungo i pomodori! Vuole degli altri limoni?”
Che domande.

Una cosa che anche no – dove sono tutti i miei vegetti?
Conoscere il Gentile Signore dei Limoni e andare di nuovo a briglia sciolta in giro per il quartiere mi ha fatto notare delle assenze.
Prima di tutto, il signore elegante e abbronzato e un po’ perso che stava sempre sotto casa mia: ci salutavamo almeno quattro volte al giorno.
Il Signor Carlo, quello delle 25 cravatte di Pertini, che trovavo sotto le tamerici della piazzetta.
Il Signor Emilio, che sfuggiva al controllo della moglie per venire a guardare i cani giocare sulla terrazza.
Il signore che si era sposato nella scuola di Mario.
Una generazione sparita in un soffio, in un colpo di tosse, in una sirena di ambulanza che corre verso l’ospedale.
Meno male che mi sono presa il tempo per scambiarci due parole. Il tempo fugge, e con lui le storie di queste persone.
Ne ho un’altra da raccontare, per fortuna: quella di Andrea e Maricla, che mi hanno fatto entrare in casa loro e, davanti un bicchiere d’acqua servito su un piattino d’argento e dei canestrelli offerti da un portabiscotti di cristallo rosa, hanno ricordato una vita normale ma straordinaria, cominciando dalla guerra, passando dagli anni del boom, per arrivare a quelli della pensione dei grandi lavoratori che hanno rimesso in piedi l’Italia.
Ho passato un pomeriggio delizioso da loro, ma ve ne parlerò il mese prossimo perché… beh, perché è successo in giugno!
