Indice
- Ogni mese vi racconto le cose che mi hanno colpito: nel bene soprattutto, ma anche nel male. Cantanti lirici che dabbano come Bello Figo, La piccola casa nella prateria, le lasagne di dentifricio, la fika di Shfezia e l’affare del materasso hanno segnato l’aprile del 2017.
- 1° cosa bella – questo sentimento popolare
- 2° cosa bella – la piccola casa nella prateria
- 3° cosa bella – il museo degli epic fail
- 4° cosa bella – la fika migliore
- Una cosa che anche no: the big materasso gate
Ogni mese vi racconto le cose che mi hanno colpito: nel bene soprattutto, ma anche nel male. Cantanti lirici che dabbano come Bello Figo, La piccola casa nella prateria, le lasagne di dentifricio, la fika di Shfezia e l’affare del materasso hanno segnato l’aprile del 2017.
1° cosa bella – questo sentimento popolare
Dulcamara sta cantando la sua prima cavatina nell’Elisir d’amore, e tutti intorno ronziamo accompagnandolo a denti stretti: “O voi matrone rigide / ringiovanir bramate? Le vostre rughe incomode / con esso cancellate!… Comprate il mio specifico, per poco io ve lo do / Da bravi giovinotti, da brave vedovette / comprate il mio specifico, per poco io ve lo do”.
Ed ecco che alla risposta del coro di contadini affascinati dal medicone ciarlatano, quello prende e… dabba.
Rimango a bocca aperta.
L’ha fatto davvero? Era solo una mossa teatrale, sta facendo quello che si schernisce per ottenere ancora più favori dai poveretti che sta truffando con il suo “specifico” per i paralitici, gli asmatici, gli asfitici, le cimici, i topi, il vigore maschile, il fegato e i brufoli?
No. Lo rifa. E poi lo rifa. E ancora.
Dulcamara, personaggio ottocentesco, is the new Bello Figo.
Questo Elisir in scena al Carlo Felice di Genova è un trionfo: “Una furtiva lagrima” viene addirittura bissata a furor di popolo, e alla fine dello spettaccolo, quando tutti i cantanti vengono a prendersi gli applausi del pubblico, la bella Adina avanza sul proscenio, fa una mossa da egiziana (?!?) e… dabba!
Il teatro viene letteralmente giù.
La galleria stasera è piena di scolaresche e il fragore del loro entusiasmo fa tremare pavimenti e muri.
Adina ride, ha gli occhi lucidi per l’emozione. E dabba di nuovo.
TUTTO IL CAST dabba.
Anche il coro, e il direttore del coro, e il direttore d’orchestra!
Io sono in platea, rido come una bambina e mi spello le mani da quanto applaudo – questo sentimento popolare nasce da meccaniche divine: davanti a tanto glorioso intrattenimento, siamo tutti, dai ragazzini ai novantenni, una cosa sola.
E il rapimento non sarà mistico, ma è sicuramente sensuale: trovatemi una canzone, di qualsiasi epoca, che descrive meglio l’orgasmo di “Una furtiva lagrima” e vi pago un abbonamento alla Scala di tasca mia.
Già, ecco la nota dolente in tanta perfetta melodia: il costo di una serata all’opera.
Con decine di persone tra figuranti, coristi, cantanti, musicisti, scenografi, costumisti, sarti, macchinisti, più regista e direttori che lavorano per mesi, affitto del teatro e promozione, è normale che costi tanto: i nostri biglietti in platea valgono 65€.
Ma per gli studenti è solo 10 euro: per tre ore di gioia e godimento e cultura. Meno di un biglietto per un cinepanettone.
Nel Paese che l’opera lirica l’ha inventata di sana pianta e che ne ha scritto le pagine più belle in assoluto, nel Paese in cui fino a 26 anni si può andare a teatro e vedere un centinaio di persone che lavorano per te per tre ore per 10 euro, la maggior parte delle persone sembra non sapere come si chiamava Verdi di primo nome, né citare un suo titolo (se avete visto la puntata di Masterchef in cui i concorrenti dovevano preparare dei piatti musicali – come le palle di Mozart e il filetto alla Rossini – sapete di che parlo).
Io penso che insieme alla storia andrebbe insegnata la storia del costume popolare: accanto ai trattati firmati dai capi di Stato, che tutti dimentichiamo dopo l’interrogazione, perché non dedicare un’ora al mese in aula magna per far vedere ai ragazzi in video com’era l’Italia di Enrico Caruso, Vittorio De Sica, dell’uomo in ammollo del Carosello (che è uno dei più grandi jazzisti del mondo: si chiama Franco Cerri e ha suonato con tutti, da Chet Baker a Billie Holiday; l’ho scoperto solo oggi), dei poliziotteschi e dell’ombelico della Carrà, del Maurizio Costanzo Show, di Drive In, Non è la Rai, del liscio, di Nino d’Angelo e degli 883?
Così se poi vanno a vincere Masterchef a 18 anni, come Valerio quest’anno, quando gli chiedono cosa ha scritto Giuseppe Verdi, un “Va’ pensiero”, il nostro inno nazionale ufficioso, lo sapranno almeno ronzare.
Magari dabbando.
(come questo uccello)
2° cosa bella – la piccola casa nella prateria
A giudicare dall’età media di chi legge questo blog, scommetto che se scrivo “Nellie Oleson” molti di voi penseranno assertivamente tra sé: “quella stronza”.
Un po’ come “Iriza e Neal”.
Siamo cresciute a pane, cacao nocciole e olio di palma, e ragazzine ingrembiulate vessate da ragazzine boccolute (e stronze).
Possiamo avere interessi e gusti diversi, ma una volta non c’era la scelta che c’è oggi in termini di intrattenimento, per cui il sentimento che era condiviso era davvero popolare – nel senso di tutta la popolazione, senza caste.
Prendiamo La Piccola Casa Nella Prateria.
Lo guardavo ogni giorno con mia madre, seduta in tinello davanti a una micro tv in bianco e nero (oh, come era verde la mia valle quando è arrivata quella a colori!), pensando che volevo gli occhi blu di Mary (quando è diventata cieca ho smesso subito), i grembiuli a fiorellini di mamma Caroline, i vestiti a fiorellini di Laura, e che Nellie Oleson era proprio una stronza.
Lo guardava anche la mia collega Claudia Porta, che ha chiamato il suo blog “La casa nella prateria” perché quando è andata a vivere nella campagna provenzale ha pensato che si sarebbe realizzato il suo sogno bucolico e che la sua famiglia si sarebbe trasformata negli Ingalls (meno la figlia cieca).
Io e Claudia siamo diverse: lei è un’istruttrice di yoga capace di fare ritiri spirituali di 10 giorni senza avere contatti con i suoi Ingalls; io lo yoga lo ho abbandonato perché gli ultimi 15 minuti di meditazione non erano abbastanza pratici per me, e mi saliva la carogna che non stavo facendo niente e me ne tornavo a casa furibonda invece che rilassata (ora faccio Pilates con una mistress severissima che non mi dà proprio il tempo di pensare: solo quello di rispettare i suoi ordini e RAUS).
Però sono sicura che se ora faccio vedere alla calmissima Claudia e alla severissima mistress questi grembiuli a fiorellini che ho ordinato da My Mini Pinny per me, mia madre e mia nipote, anche loro avranno voglia di allacciarsene uno in vita, farsi le treccie strette da mal di testa, e correre giù dalla collina.
Puoi togliere la ragazza La Piccola Casa Nella Prateria, ma non puoi togliere La Piccola Casa Nella Prateria dalla ragazza.
3° cosa bella – il museo degli epic fail
Il 7 giugno a Helsingborg, in Svezia, verrà aperto il Museum Of Failure, che metterà in mostra desueti prodotti mal pensati dai progettisti, mal lanciati dalle agenzie pubblicitarie o mal interpretati dal pubblico.
Le lasagne surgelate Colgate (e non scordare di lavarti i denti dopo?), le videocassette Betamax (solo chi guardava La Piccola Casa Nella Prateria in diretta può capire), Trump: The Game (che penso ora sia un oggetto da collezione)…
… tutti articoli di consumo che non deve essere stato facile reperire vista la loro breve vita commerciale, meteore che hanno comunque lasciato il segno nel nostro immaginario.
Come questa “elettrizzante” maschera di bellezza pubblicizzata niente meno che da Linda Evans, la Crystal di “Dynasty”.
Lo scopo dell’esposizione, attualmente in tour tra Europa e Usa, non sarebbe quello di “ridere di”, ma di “imparare con”: in fin dei conti l’epic fail della Coke II è stata una grande lezione di marketing per Coca-Cola. Ovvero, ascoltare cosa dice il popolo: se il popolo schifa la Coke II, dismetterne la produzione e rimettere in circolo la solita bevenda.
Però, se consultando il sito del museo, da ridere vi verrà lo stesso leggendo “quando prenotate la visita fateci sapere se volete una fika regolare, o una fika molto più interessante ma non necessariamente migliore” (“Also specify if you want regular fika or a much more interesting but not necessarily better fika”), sappiate che…
4° cosa bella – la fika migliore
È una torta di cioccolato bianco che fa finta di essere cotta, quando è solo un pretesto per una superficie appena solida e un interno caldo, morbido, quasi colante. Libidine pura.
La fika svedese non è una stangona bionda che “fiene di Shvezia”, ma il rito caffè + qualcosa di dolce. Per estensione è diventata anche la torta consumata durante il rito.
E questa è la ricetta della fika per eccellenza: vi consiglio di provarla se non avete modo o voglia di estendervi fino a Helsingborg quest’estate.
Una cosa che anche no: the big materasso gate
Questa è una storia dolorosa, e ve la racconto perché possiate imparare la lezione letteralmente a mie spese, e non ripetere l’errore che io ho commesso due volte, passando dall’umano allo stupido e arrivando alle soglie del diabolico (cit. la famosa parabola della perseveranza).
Antefatto: mal di schiena, soprattutto al mattino appena svegli.
È l’estate scorsa, siamo nella nostra casa delle vacanze, decidiamo di comprare un materasso nuovo.
Il negoziante ci convince che i materassi di lattice che a noi son sempre piaciuti tanto sono superati, che ora ci sono i “memory foam” e che è tutto un altro dormire, una rivoluzione proprio.
E così, deglutendo, prendiamo il memory più economico, visto che qui ci dormiamo sì e no 60 notti all’anno e non abbiamo certo bisogno del top di gamma. 800 euro: du’ spicci.
Il mal di schiena migliora un pochino, ma non passa.
E siccome abbiamo comprato un materasso nuovo, al mattino ci diamo il buongiorno a denti stretti, e nessuno dei due ammette all’altro che appena va in bagno si spalma di Voltaren piagnucolando in silenzio.
Finiscono le vacanze, torniamo a casa, al nostro caro vecchio materasso di lattice e… aaaaaahhhh.
Sennonché pochi mesi dopo mi ritrovo improvvisamente ad alzarmi con un mal di schiena invalidante che di giorno in giorno peggiora esponenzialmente.
Conveniamo che il materasso, porello, si è fatto i suoi 15 anni di servizio, e sarà il caso di cambiarlo.
Quindi vado dalla materassaia che ci ha sempe serviti, perché all’Ikea i materassi costano sicuramente meno, ma dobbiamo supportare i negozianti locali, e mi lascio convincere a prendere un “memory foam”, che è tutto un altro dormire, una rivoluzione proprio. Ma di buona qualità, perché su questo dormiremo 300 notti all’anno. 1200 euro – tre spicci, però se dopo un mese non mi ci sono trovata me lo cambiano con un altro materasso.
Passa una settimana.
Metto sotto la cintura sette notti insonni in cui mi succede di gridare dal dolore mentre cerco di rigirarmi in quella specie di sabbia mobile che ho sotto le lenzuola. Ormai mi alzo piangendo teatralmente, e non ho certo bisogno di aspettare altre tre settimane per stabilire che il memory va cambiato con un materasso più rigido.
Chiamo il negozio, vengono a portarmi il sostituto.
Ma quando tolgo la biancheria davanti ai materassai, appare una macchia larga 40 centrimetri sulla fodera.
Non capisco cosa possa essere, non ci sono stati incidenti: la borsa dell’acqua calda al massimo?
Niente, se ne vanno e mi lasciano con quel mostro da 1200 euro dicendomi di girarlo dall’altra parte, e di dormire sul lato più duro.
Cosa che fa venire la sciatica a mio marito, mentre io alle 2 mi alzo e vado a dormire con mio figlio, nel suo letto singolo.
Rigiriamo il materasso dalla parte ufficiale, e poi da quella ufficiosa, ma non c’è niente da fare.
Vado dal mio medico, dall’osteopata, faccio riflessologia plantare, chiedo aiuto alla mistress di Pilates: e tutti mi raccontano di esere caduti personalmente nella trappola del memory e di averlo buttato o regalato a persone che poi l’hanno portato personalmente alla discarica. Tutti parlano di sabbie mobili, insonnia, dolori, imprecazioni e soldi buttati nel cesso. Tutti dicono: vai all’Ikea e compra il materasso a molle insacchettate da 259 euro.
E così alla fine cedo: volevo limitare i danni, ma non si fa più vita.
Con il materasso Hövåg il mal di schiena migliora gradualmente (con un bell’aiuto del riflessologo) fino a sparire due giorni prima delle vacanze di Pasqua.
Che spendiamo nella casa al mare… sull’altro materasso memory, il peccato originale.
E dopo tre giorni conveniamo che non vale la pena passare i nostri giorni di relax curvi, con una mano impiastricciata di Voltaren appoggiata sulle lombari, quando possiamo evitarcelo con 259 euro.
(Se non contiamo 800+1200+le varie parcelle mediche)
Quindi!
Se avete un mal di schiena improvviso, prima provate a farvi curare.
Se non funziona e siete proprio convinti che sia colpa del materasso, non prendete un memory.
Poi, se non vi ho convinto, e come quando vi servono un piatto caldo avvertendovi “Non toccate: scotta” e voi subito ci appoggiate un dito per vedere se è vero e vi strinate (sapete che lo fate, non negate), se volete provare che le disgrazie capitano sono agli altri e che voi farete saltare il banco dei materassi memory, compratevi i miei: sono stati usati solo un mese ciascuno, per poco io ve li do.
Ps – La macchia sul materesso? Abbiamo capito che era stato il gatto. Ho pur detto che per poco io ve li do!