Indice
- 1° cosa bella – un calendario dell’avvento diverso
- 2° cosa bella – The Recinsion, il sito di Mario
- 3° cosa bella – i pavimenti dell’enoteca Bonanni
- 4° cosa bella – la prima volta che ci hanno lasciato il nipotino
- Una cosa che anche no: non sono Selvaggia Lucarelli
1° cosa bella – un calendario dell’avvento diverso
Ai miei tempi, i calendari dell’avvento erano fatti di due strati di cartoncino incollati l’uno sull’altro; avevano delle finestrelle con un numero stampato sopra, che si aprivano per svelare un’immaginetta natalizia.
Il primo dicembre poteva essere, chessó, un fiocco di neve; il due un guantino di lana rossa; e così in crescendo fino al 24, quando sapevi (o meglio: nel tuo cuore speravi) che avresti trovato il santino di un albero di Natale tutto addobbato. Che gioia da Piccola Fiammiferaia!
Ai miei tempi si andava a scuola a piedi nella neve, camminando per 6km con le scarpe di cartone.
Fui molto scioccata, da giovane madre, nell’apprendere che in Norvegia il calendario dell’avvento viene fatto con un nastro numerato a cui viene attaccato un vero regalo per ogni giorno. 24 regali VERI!
Quando lo vidi a casa dei miei amici Krafft non potevo credere che tali lussi sibaritici potessero esistere.
I miei figli invece hanno sempre solo avuto il tipo italiano che contiene dei cioccolatini comprato alla Lidl per 3€; a parte Mario, che l’anno scorso ha avuto un upgrade sibarita con quello del Lego che contiene “personaggi e pezzi unici” (come no) comprato su Amazon per la modica cifra di 24€.
Questo dicembre però ho pensato a fare diversamente, e a farlo con lui.
Senza accorgermi che era un trend (a dimostrazione del potere dello zeitgeist) gli ho proposto di mettere un bigliettino in ogni taschina del nostro storico calendario di famiglia (quello “di bellezza” as opposed to quello che rende felici i bambini): ogni bigliettino per un’attività da fare insieme.
Anche se ne ce li siamo divisi salomonicamente tra noi due, ci siamo premurati di dare generosamente qualcosa anche al resto della famiglia:

Abbiamo fatto quasi tutto quello che ci eravamo prefissati: i biscotti, la gelatina di arance, la pizza, un album di foto del gatto, una partita a Scarabeo tutti insieme, il sito di Mario…

Altre cose non siamo riusciti a farle, per quanto abbiamo riprogrammato, postposto, anticipato: non abbiamo raccolto l’agrifoglio in campagna perché pioveva, non abbiamo preso la cuccia per gatti all’Ikea perché non la vendono ancora, nessuno ha fatto un lungo bagno caldo nella vasca perché siamo genovesi mica sibariti, non abbiamo insegnato a Ninja a dare la zampa perché chi ci crediamo di essere, i suoi padroni? HAHAHAHAHA.

Però scrivere quei bigliettini è stato un po’ come intervistarci a vicenda: abbiamo capito qualcosa di più su cosa è importante per noi. E dei cioccolatini e dei Lego non si è avvertita la mancanza.
2° cosa bella – The Recinsion, il sito di Mario

L’idea gli è venuta mesi fa, e si era preparato già un archivio di articoli per il debutto.
Aveva pensato anche al nome, senza sapere che esistono le “recinzioni” di Johnny Palomba (a proposito: ho trovato Elio Germano, Pierfrancesco Favino, Valerio Mastrandrea, Marco Giallini, Paola Cortellesi e NANNI MORETTI che leggono le recinzioni di Johnny Palomba qui. Quando avete finito di leggere le mie 5 cose potete andarci a fare ricreazione).
Sapeva come voleva il logo, e l’ha progettato con suo padre.
Sapeva anche di voler usare Instagram per promuovere i suoi post, avendo già imparato a fare il social media manager di Ninja (seguite @tonsurtoncat!).
Io ho fatto pura manovalanza insegnandogli come si usa la piattaforma di WordPress (la stessa su cui leggete Cakemania), come si inseriscono i testi e le foto, come si fa un elenco puntato, cosa sono i tag alt e gli header, come si inserisce un link o un video.
E niente, il 26 dicembre è andato on line “The Recinsion – recensioni di un bambino per bambini”.
Se ai vostri figli interessano film, libri, videogiochi e app da otto-novenni, fateglielo vedere: peer to peer.
3° cosa bella – i pavimenti dell’enoteca Bonanni

Genova ha un patrimonio di botteghe storiche veramente invidiabile. Drogherie, camicerie, confetterie, farmacie, barberie dove gli arredi e i prodotti sono gli stessi da più di cent’anni.
Gli appassionati vengono qui per fare visite a tema; se lo farete anche voi, non mancate l’Enoteca Bonanni in Via San Vincenzo, a un passo dalla Stazione Brignole.
Come diversi altri negozi di questa strada, i suoi locali occupano le vecchie stalle di un singolo palazzo nobiliare del ‘500 che si trova a un isolato di distanza, Villa Sauli Grimaldi.

I pavimenti dell’enoteca sono in “graniglia genovese”, che è simile a quella veneziana ma più minuta e fiorita nei decori.
Ma in questo negozio, invece dei tipici ghirigori, animali e fronde che si trovano nei vecchi edifici della città, compaiono i loghi delle più famose marche di liquori e aperitivi italiani: Amaro Cora, Bitter Campari, Stock 84, Vecchia Romagna, Cinzano…




Erano stati fatti inserire negli anni ’40 dai proprietari e ancora lì stanno, pronti a suggerirci cosa stappare stasera.
A dispetto delle orrende foto che ho fatto con il telefono, sono bellissimi, e come dice la guida Michelin, “valgono la deviazione”.
4° cosa bella – la prima volta che ci hanno lasciato il nipotino

Una cosa che anche no: non sono Selvaggia Lucarelli
Non sono una che ama i flame; non leggo i commenti sotto gli articoli (o peggio ancora, i post su Facebook) che parlano di sacchetti del supermercato, Virginia Raggi o vaccini; non pubblico chiamate alle armi (se non sul mio profilo privato, e chi lo legge sa che ce l’ho con Trump, con i corsi di aggiornamento per i giornalisti e la mera esistenza dei sacchetti nei supermercati), né discorsi passivi-aggressivi contro non si sa chi che iniziano con “sono buona e cara, ma se mi pungi etc”.
Non faccio queste cose perché sono il genere di persona che si congela nel terrore quando avverte la minima vibrazione aggressiva intorno a sé, e che più di ogni altra cosa teme di essere fraintesa (a questo scopo uso aggettivi molto chiari per definire i corsi di aggiornamento per i giornalisti).
Però il 20 dicembre ho pubblicato sulla pagina Facebook di Cakemania questo post, pensando di farci un sorriso tutti insieme:

E ho preso un granchio, anzi due.
Il primo è stato quello di non cogliere che il vassoio che a me sembrava di acciaio, poggiato su un carrello da mensa, era d’argento, poggiato su un gueridon (carrello da ristorante).
Me l’hanno fatto notare in molti, e gli ho dato ragione.
Il secondo è stato quello di fare dell’ironia che secondo me era molto facile da cogliere (“Forse due cose sulle torte di compleanno le possiamo insegnare anche noi cakemaniache, ai grandi chef stellati”) e che invece è andata – vogliamo dire così? – lost in translation.
Mi è stato dato dell’arrogante, della stupida, della presuntuosa, dell’ignorante, dell’”antipatico che fa tutto per soldi”.
Con qualcuno ho iniziato una conversazione, spiegando che scherzavo, che non mi permetterei mai di pensare sul serio che ho qualcosa da insegnare a dei professionisti, che so come lavorano perché ho mangiato sia da Cracco che da Marchesi buonanima, che ho ben presente cos’è un ristorante stellato avendo avuto per anni una rubrica dedicata all’argomento sul Sole 24 Ore.
Poi ho smesso di guardare cosa succedeva sotto quel post, decidendo contemporaneamente che un post così non lo farò più: perchè pur essendo una che viene pagata per avere un’opinione (c’è ancora gente che compra il giornale per incartarci il pesce), mi ha messo troppo a disagio essere attaccata così personalmente da dei totali estranei.
Non so come faccia, ad esempio, Selvaggia Lucarelli a reggere l’ondata di puttana/ti devono violentare che le arriva addosso ogni giorno perché fa una battuta sui sacchetti del supermercato o punta il dito su chi augura uno stupro a una donna che non conosce.
Quella millefoglie lì continua a non piacermi, ma piuttosto che dirlo a degli estranei, lo dico direttamente a Cracco. Anzi, glielo faccio dire dalla Lucarelli.