Indice
- 1° cosa bella – tennis d’annata contro il logorio della vita moderna
- 2° cosa bella – batti lei
- 3° cosa bella – il thermos
- 4° cosa bella – Milano da mangiare
- Una cosa che anche anche no – la mia tetta sinistra
Ogni mese vi racconto le cose che mi hanno colpito: nel bene soprattutto, ma anche nel male. Le gioie del tennis, del thermos e della Milano da bere e mangiare, e i dolori della mia tetta sinistra hanno segnato questo ottobre 2016.
1° cosa bella – tennis d’annata contro il logorio della vita moderna
Fare le valigie mi mette un’ansia terribile.
Non scherzo quando dico che lo scorso luglio, prima di partire per il viaggio in America, ho pensato alle valigie per settimane: cosa ci metto per poter viaggiare leggeri? Il meteo dice che passeremo dai 14 ai 31 gradi; saremo in barca, in città, in spiaggia; io e il bambino arriviamo due giorni prima, il marito dopo, in mezzo ci sarà un matrimonio formale. Le spedisco ‘ste valigie, no, bagaglio a mano, niente trolley che in barca non ci sta, ma come faccio senza trolley, io e il bambino con i trolley, il marito con le sacche dopo. O viceversa.
Il giorno prima di partire mi sono calata una pasta (di valeriana) e ho interrotto più volte le valigie inventandomi altre cose da fare, finché, cazzeggiando su Facebook, ho visto una pubblicità in cui McEnroe e Borg si sfidano in un supermercato a chi fa meglio la spesa.
E mi è arrivata l’ispirazione per la soluzione finale antistress: tennis d’altri tempi.
Mi sono ricordata di quando ero giovinetta e di quando sarebbe stato più intelligente studiare il Carducci e i coseni, e invece passavo settimane intere a guardare quattro tornei di seguito: Roma, Monte Carlo, Parigi, Wimbledon.
A bocca aperta, raramente tifando per un atleta a scapito di un altro, a meno che non ci fossero Yannick Noah e Ivan Lendl in campo, peraltro due giocatori dallo stile diametralmente opposto. Noah era puro rock, tutta vita e sessappiglio. Lendl era gelido, concentrato e faceva un’immensa tenerezza perché vinceva tutto, ma Wimbledon continuava a rimanere la sua balena bianca.
Quel giorno prima della partenza, con le valigie sul letto aperte e mezze vuote, ho fatto indigestione di clip “best of” su Youtube di tennisti in bianco, di principesse nel palco reale che annuiscono con la testa per celebrare una volée che vale il match, di rari grugniti di fatica dei giocatori accolti con disappunto dal pubblico, di quelle meravigliose telecronache di Rino Tommasi e Gianni Clerici che sembravano i due vecchietti del Muppet Show incrociati con due checche isteriche.
Mi sono tornati in mente l’espressione scandalizzata e i ventagli agitati e le perle impugnate sul petto di noi 18enni quando sulla terra battuta del Roland Garros si manifestò il nostro coetaneo André Agassi in pantaloncini fluò da ciclista sotto i jeans tagliati, il mullet e quei rovesci a due mani così volgari e potentissimi: erano i barbari che invadevano l’impero e che ne sarà di noi fanciulle in fiore, un ratto delle Sabine??
Omiodioomiodio!
Smisi di seguire il tennis gradatamente, proprio a causa del nuovo gioco tutto basato sulla velocità e la forza, e zero tattica.
Ora sto fissa su Youtube a cercare video di partite giocate davvero: con scambi che vanno oltre i quattro colpi, gente che scende a rete, che corre all’indietro per fare uno smash.
Tennis giocato da tennisti che non sono scolpiti come quelli di oggi (signore mie, prometto che un’altra volta riesumiamo i ventagli e i sali e parliamo di come cadono le magliette su Nadal e Federer). Un tennis che mi risucchia in un vortice: non ci sono più le lavatrici da stendere, le lettiere del gatto da pulire, le valigie da riempire.
E questa stanza non ha più pareti ma spalti, spalti infiniti, quando Lendl e McEnroe si disputano la finale del Roland Garros.
2° cosa bella – batti lei
Quelle fanciulle in fiore sono ora donne con le palle.
Ce le infiliamo dove capita (vedi foto), ché fare scorta è importante.
Perché io e la mia amica Marcella di scambi ne facciamo 4, 5… 6 per grazia ricevuta (viva viva Sant’Eusebio protettore dell’anima mia).
Non perché abbiamo “la potenza nei bracci” come Nadal e Federer.
Ancor meno perché abbiamo intuizioni tattiche da Metternich del tennis.
Semplicemente, siamo arrugginite dopo decenni di inattività, ma ci è tornata una gran voglia di giocare e ci facciamo un culo a strisce per riuscire a mantenere la palla in campo.
Ovviamente per campo noi intendiamo anche gli out. Vale tutto: l’importante è ributtare la palla di là e che l’altra riesca a prenderla, anche al secondo rimbalzo, anche al terzo.
Io le palle le faccio lunghe, con le movenze vecchia scuola che mi hanno insegnato quando ero ragazzina e metà della gente ancora giocava con le racchette di legno: rovescio a una mano, polso sempre a 45°. Ora, chissà poi perché, il rovescio si fa a due mani, e il polso si tiene a 75°.
Lei le fa corte, ma no saprei dire con che stile perché sono anziana e non vedo così bene da una parte all’altra del campo.
E mentre non le prendiamo, ci congratuliamo costantemente del fatto che ci divertiamo, che corriamo in maniera inutile e parossistica (tutta aerobica), e soprattutto che tra di noi non ci vergogniamo perché siamo allo stesso scarsissimo livello e non stiamo facendo perdere tempo a nessuno.
Nel tennis amichevole le pari opportunità sono tutto.
3° cosa bella – il thermos
Scrivo sul computer di mio figlio, dalla stanza di ospedale dove è ricoverato; scrivo mentre lo stanno operando ai legamenti crociati che si è divelto in skateboard (quante lezioni di tennis buttate nel cesso… Per non parlare di quelle di basket, calcio, judo, atletica, vela, sci, nuoto: anni a fare anticamera nelle palestre, piscine e club di tutta la città e lui si frattura qualcosa ogni sei mesi per uno sport che si impara da soli, per strada, ed è pure gratis).
Sono in piedi dalle 6 del mattino, sola nella stanza di una clinica milanese, fuori piove un grigio totale Pantone 18-4214 Stormy Weather.
Trovo conforto nel mio tè che rimarrà caldo per ore. Un bicchierino alla volta, questo thermos mi sta facendo compagnia e non dico che mi risolverà la giornata, ma sicuramente la sta facilitando.
Bellissima cosa il thermos: ci rende indipendenti dalle file al bar, dalle schifezze dei distributori automatici, dalle chiacchiere delle macchinette del caffè.
Elle MacPherson ci mette dentro i beveroni dietetici del suo sponsor, e ci va a correre come una gazzella in spiaggia (vedi la top 5 del mese scorso).
Io ci metto il tè e me lo porto a correre sgangheratamente a tennis, in treno, o dovunque mi tocchi stare fuori casa a lungo. Nel tempo, ci ho messo zuppe per me e minestrine per i bambini, Bloody Mary per le amiche e centrifugati per il marito.
Un litro scarso, ma pieno di orgogliosa autocrazia take away.
4° cosa bella – Milano da mangiare
Sarà più famosa quella da bere, ma voglio parlare di come ho mangiato bene una sera a Milano, quando avevo bisogno di staccare dall’ospedale, e avevo voglia di comfort food tradizionale: no desrutturalisti, no rivisitatori, sì Sciura Maria nella sua casa di ringhiera.
Dopo aver chiesto consiglio agli amici milanesi su Facebook e aver innescato un’interessante discussione su chi faccia il miglior risotto allo zafferano, ho scelto di prenotare all’Antica Trattoria della Pesa, uno dei più vecchi ristoranti meneghini… e uno dei vari ristoranti che si chiamano “La Pesa” a Milano. Già, vai a sapere che ce ne sono cinque!
Gente, differenziatevi, ché se scrivi “La Pesa” su Waze, quello ti porta al primo ristorante che gli viene in mente, e 4 su 5 non è quello dove volevi andare!
E infatti… dopo aver attraversato la città da un capo all’altro sotto le istruzioni del navigatore, e dopo e aver parcheggiato illegalmente in un autolavaggio (per la disperazione: veramente a Milano è impossibile spostarsi in macchina), siamo arrivati a uno di quelli sbagliati, la Trattoria della Pesa 1902.
Che per carità, era pure carino, un po’ spartano magari, ma soprattutto aveva il difetto di non sapere nulla della nostra prenotazione.
Il proprietario ci ha spiegato del problema di branding “diffuso” (Milano, proprio tu! Mediolanum, tu quoque!), e noi abbiamo ripreso la via telefonando per avvertire del ritardo… il Bistrot della Pesa!
Che però almeno è figlio dell’Antica Trattoria, e ha giurato che avrebbe avverito del nostro ritardo la mamma che gli abita accanto; e invece non l’ha fatto, perché quando ci siamo finalmente manifestati, all’Antica Trattoria della Pesa ci avevano già dati per dispersi. Solo per pura fortuna avevano ancora il nostro tavolo.
La via crucis è stata però ripagata dalla boiserie antica, dal parquet consumato dai camerieri che dal 1880 si affrettano a servire cotolette danzando tra i tavoli, dalle spesse tovaglie bianche, dalle candele nelle bugie di alpacca.
E soprattutto da una gloriosa cena in giallo: il mio cremoso risotto alla milanese e il suo scioglievolissimo ossobuco alto quattro dita erano perfetti. Il suo risotto al salto croccante, spesso tre chicchi come vuole la tradizione, altrettanto ineccepibile.
Lo zabaione, servito in una tazzona da caffellate insieme a lingue di gatto e biscottini di meliga, una spuma impalpabile che non ha perso la sua (inesistente) consistenza nemmeno col passare dei minuti. Così fine ed etereo che sembrava fatto con un solo tuorlo per due persone: un miracolo della fisica applicata in cucina!
La bottiglia di Inferno (vino della Valtellina proveniente da dirupi ripidissimi, da cui il nome) è arrivata a coprire a malapena il dolce, ma nessun mal di testa il giorno dopo – segno questo, più di ogni altro, che si è bevuto un buon vino.
Quindi, sì, dai, uela, figa: Milano è anche da bere.
Una cosa che anche anche no – la mia tetta sinistra
La mia tetta sinistra mi fa male da 23 anni.
Una notte il mio primo figlio, ancora neonato, saltò una poppata (incredibilmente, dato non ha dormito MAI fino ai sei anni) e a quella successiva si saziò con l’onda anomala della tetta destra. Feci l’errore di non svuotare subito la sinistra con il tiralatte e prima che fosse mattina avevo già la mastite e la febbre alta.
Da allora, ad ogni ovulazione e fino alla fine delle mestruazioni, quei canali galattofori si infiammano come se fossero pronti a fare la ricotta. 12 x 23 fanno tante volte che vorrei chiedere ad ogni carrozzina che vedo passare: “scusi, me lo presta per 10 minuti, vorrei allattarlo e svuotarmi la tetta!”.
Puerpere che leggete questo: usate il tiralatte. Aumenta la produttività della vostra latteria e gestisce gli scarti indesiderati.
Fine lezione numero uno.
Inizio lezione numero due.
Ieri ho letto un post di Ma che davvero? su Facebook, e poi l’orrida storia di una ragazza di 25 anni rimasta vedova con cinque figli, e asciugandomi le lacrime mi è venuto in mente: ma non è ottobre? Il mese della prevenzione del tumore del seno? Perché quest’anno non ci sono campagne di sensibilizzazione, e ambulatori mobili per screening gratuiti?
Controllo. E infatti, a parte dei poster con la Gregoraci come testimonial, niente altro che il solito clima da memento mori e un hashatag carino: #fatelevedere.
Così, pensando a queste cose, e ai vari tumori che hanno colpito la mia famiglia, nel pomeriggio sono andata a fare le mie mammografia + ecografia di controllo, guarda caso prenotate un anno e mezzo fa con il conclamato luminare della mia città, il Prof. Imperiale.
Mentre mi esaminava, abbiamo parlato del tumore al seno che ha avuto mia sorella a soli 31 anni (“sfiga, signora; scusi se lo dico così, ma è quello: ha avuto sfiga”) e dell’ago aspirato che mi fece lui stesso tre anni fa (“non significa che ci fosse un rischio, solo che era difficile capire”).
Schiacciava col robo dell’ecografia sulla tetta sinistra e mi faceva male, e gliel’ho detto (“23 anni fa, mastite, yada yada”). E lui: “qui c’è un nodulo che prima non c’era. Come dicevamo prima, non vuol dire che sia un rischio, ma che dobbiamo capire cosa sia”.
Ho l’appuntamento il 2 novembre per il prelievo e i risultati richiederanno almeno 10 giorni di attesa.
Mentre spero di poter scrivere “la mia tetta sinistra” tra le 4 cose belle del prossimo mese, prendo in considerazione cosa può succedermi: un’orribile mezzora dentro il tubo di una TAC? Un intervento di asportazione del nodulo, della radio o della chemioterapia?
Una mastectomia?
In quel caso, nel reggiseno mi ritroverei un tasca vuota in più da sfruttare quando gioco a tennis con Marcella: e nessuno potrà più negare che sono una donna con la palla 🙂